L'ITALIA DI DOMANI
La prima idea che viene,(l) dato lo svolgersi della campagna africana in Tunisia, è che le forze alleate tente- ranno, presto o tardi, un colpo sulla Sicilia, che domina il centro ovest del Mediterraneo. Può darsi che altre iniziative militari lo faranno posporre, ma non sembra probabile che venga escluso. Si sa che non c'è città, o villaggio siciliano, anche perduto sulle alture delle Madonie o alle falde dell'Etna, che non abbia delle famiglie intere emigrate in America, con le quali la corrispondenza è stata mantenuta frequente fino alla guerra. Molti "Americani" (come là si sogliono chiamare) fecero ritorno in 'Sicilia e vi compravano case e poderi con i dollari portati indietro; in certi villaggi ci sono addirittura delle strade nuove chiamate "quartiere americano". La bandiera stellata è stata conosciuta e amata come bandiera amica. è questo un importante elemento psicologico per preferire, nell'occupazione, le truppe americane ad altre truppe alleate; potrà fare meglio comprendere ch'esse non vanno in Sicilia per conquistarla, per tenerla come proprio pegno, per farne proprie basi navali permanenti (come è stato detto) ma piuttosto per la liberazione tanto della Sicilia, quanto dell'Italia intera, sia dalla dominazione tedesca che da quella fascista.(2) Gl'italiani che combattono la guerra di malavoglia perché non possono farne a meno, sono preoccupati delle sorti future dell'Italia. Essi si domandano ansiosi se sarà rispettata l'integrità territoriale della nazione dopo una vittoria alleata. Le voci che corrono non sono rassicuranti. L'articolo di Wickham Steed: What of the Enemy? e l'altro di King-Hall nel Picture Posi (Nov. 21), benché siano vedute personali, indicano un'orientazione inglese abbastanza discutibile. King-Hall propone di garantire all'Italia (se si distacca dall'Asse) i confini del 1914, perdendo il Trentino, l'Alto Adige, e l'Istria. Se a simili vedute che corrono per la stampa, si uniscono le pressioni del governo jugoslavo in esilio per Trieste e l'Istria, e perfino la propaganda che si fa in America a favore di Otto d'Asburgo, con un certo non irrilevante lavorio per passare il Trentino e l'Alto Adige all'Austria, si vedrà che le preoccupazioni italiane non derivano solo dalla propaganda nazista.(3) In tali condizioni è necessario che una sufficiente chiarificazione politica preceda gli eserciti di occupazione, se si intende ottenere il favore e la cooperazione amichevole di quella parte della popolazione che, detestando il fascismo, accoglierà l'intervento alleato come una liberazione. Che se invece di ciò, si lascia campo alle voci che l'Italia .sarà mutilata nel territorio nazionale, perderà le sue vecchie colonie, sarà disarmata per sempre e sottoposta ad una rieducazione estera, allora sarà difficile trovare accoglienza, perché il timore di un futuro ignoto paralizzerà ogni buona volontà. Se questo potrà essere il primo effetto di una politica incerta o equivoca, occorre aver presente quale potrà essere dopo la guerra, l'effetto morale e politico della mutilazione del territorio italiano. Non si potrà in Italia superare l'ideologia fascista sé vi si formerà un antifascismo di sconfitta. Coloro che prenderanno le redini del governo, subiranno (come avvenne ai democratici di Weimar in Germania) tutti gli effetti della mutilazione e umiliazione che gli alleati causeranno all'Italia. I fascisti, i filo-fascisti, i nazionalisti, che durante l'armistizio saranno scomparsi sotterra, emergeranno di nuovo, accusando gli avversar! di aver diviso il fronte nazionale, accettato il diktat degli alleati, cagionando così un danno eterno al loro paese. E siccome il popolo (qualsiasi popolo) tiene poco ai ragionamenti lunghi e vive di sentimenti immediati, alimenterà piuttosto in seno il rancore e lo spirito di rivincita, che daranno la base per una reincarnazione fascista a non lunga scadenza. Si ricordi che uno dei motivi del fascismo del 1919 fu che l'Italia aveva vinto la guerra e perduto la pace, e che alla Conferenza di Parigi non aveva avuto che rifiuti e umiliazioni. Così come in Germania fu il contrasto psicologico che si creò fra le promesse dei quattordici punti di Wilson e la realtà di Versaglia. Allo stesso modo domani gl'italiani ricorderebbero la Carta dell'Atlantico come una promessa non mantenuta, facendone ricadere la colpa sugli antifascisti e sui democratici . . . della sconfitta. perché i lettori abbiano chiari i termini delle questioni territoriali dell'Italia di domani è necessario farne qui un rapido cenno. trento e trieste Città e provincie furono fin dal Risorgimento aspirazioni italiane per l'integrità del territorio nazionale. La guerra del 1848-1849 contro l'Austria fu combattuta per l'indipendenza di tutte le provincie venete soggette allo straniero. Anche durante la Triplice Alleanza non cessò mai l'agitazione a favore delle "terre irredente" come si diceva in Italia. L'entrata in guerra dell'Italia nel 1915 contro l'Austria fu per la rivendicazione di tali tenitori. Fu questo lo spirito del Patto di Londra. Togliere "Trento e Trieste" vuoi dire far risorgere l'irredentismo. Trento e Trieste per l'Italia sono quel che Alsazia e Lorena furono per la Francia: Si accusa l'Italia del maltrattamento degli "allogeni" : sloveni e tedeschi. L'accusa è fondata. 1Le colpe sono molte; le recenti atrocità di guerra fanno orrore. Le, proteste dei vescovi dell’Istria sono arrivate al Governo di Mussolini. Tutto ciò è da attribuirsi alla mentalità e ai metodi del Fascismo. Si ricordano anche malfatti nel periodo precedente sotto il governo di Facta, di Bonomi o di Giolitti: ciò si deve allo stesso fascismo che imperversava nell'Alta e Media Italia.(4) II problema delle minoranze in Europa non si risolve col * passaggio di tenitori da uno stato all'altro; peggio col trasporto di popolazioni come greggi, da una zona all'altra. Ci sono da noi troppe misture di razza; occorre sapere convivere: ci vuole uno sforzo di civiltà; insieme alla protezione giuridica, che speriamo migliore di quella istituita con il trattato del 1920 tra gli Affiati e la Polonia, esteso poi ad altri paesi. II problema di Fiume insieme a quello dei confini jugoslavi fu regolato con il trattato di Rapallo del 1920. Dopo l'avvento del Fascismo, Fiume fu annessa all'Italia; il trattato di Nettuno fra l'Italia fascista e Jugoslavia non fu mai ratificato dalle parti. Se riteniamo come punto di partenza lo statu quo del 1922, Fiume dovrebbe essere città autonoma. Se una nuova sistemazione è da ritenersi opportuna, le parti dovrebbero concordarla amichevolmente.
DODECANNESO E RODI Dopo la guerra libica l'Italia tenne in pegno le isole Turche dell'Egeo. Sopraggiunta la guerra mondiale la Turchia perdette tutti quei possessi e cedette il Dodecanneso e Rodi all'Italia, il resto alla Grecia, la quale avanzò il suo prevalente interesse su tutte le isole. Le trattative si aprirono fra Italia e Grecia. Mentre si era per arrivare ad un accordo, il ministro Titoni sospese ogni conversazione. Il Governo fascista, poscia, escluse ogni possibile cessione. A guerra finita dovrebbero riaprirsi le trattative amichevoli con la Grecia, alla quale non può negarsi un diritto morale su tali isole. ALBANIA Durante la Conferenza di pace Clemenceau, Polk e Grove, ufficialmente a nome della Francia, Stati Uniti e Inghilterra offrirono all'Italia il protettorato sull'Albania (Dicembre 1919). L'affare non ebbe altro seguito e Giolitti, nel giugno 1920, dichiarò rinunziare al mandato e di ritirare le truppe italiane dall'Albania. Nel fatto l'Albania rimase sotto l'influenza italiana e mai fece parte della Lega Balcanica. Cito questo precedente per due ragioni: anzitutto per escludere ogni pretesa che derivi dall'occupazione fascista o che menomi l'indipendenza dell'Albania; secondo per rilevare l'importanza del problema dell'Adriatico che non potrà essere lasciato alla mercè di interessi locali contrastanti ma dovrà entrare nel quadro della sistemazione europea.
LIBIA- ERITREA- SOMALIA Queste colonie non appartengono affatto al ciclo fascista. Furono conquistate o acquistate nel periodo della formazione degl'imperi africani della Francia e dell'Inghilterra.(5) II problema africano, presto o tardi verrà a galla e dovrà avere una soluzione comune per gli Stati europei ivi interessati. A questo riguardo ci piace dichiararci d'accordo con Herbert Morrison del British War Cabinet, in una politica coloniale che "can combine a forward policy of education with opportunities for native peoples to take a developing part in the forms| of self-government". (Discorso del 17 gennaio 1943.) Quest'analisi era necessaria per fissare quel che in armonia alla stessa Carta dell'Atlantico risponde ai diritti dell'Italia e| all'opinione generale degli italiani, che non siano accecati dalla propaganda fascista. II *Superata la questione territoriale resta quella della liberazione politica dal fascismo. La Carta dell'Atlantico parla solo di tirannia nazista, ma le chiose successive danno fiducia che in quella frase vi sia implicita la tirannia fascista. Dall'altro lato, il fatto stesso che il governo fascista è ancora fortemente organizzato, che la Gestapo ha avuto dal governo fascista il diritto di spadroneggiare in Italia, che i generali tedeschi hanno avuto concesso la dizione dell'esercito italiano, che ancora nuovi patti si firmano fra le potenze dell'Asse (in gennaio scorso un nuovo patto economico), mostra chiaramente quanto impropria sia stata l'asserzione di Mr. Churchill che un solo uomo, Mussolini, fosse il responsabile della tragedia italiana. Con Mussolini sono molti altri corresponsabili o per interesse o per debolezza o perché avvelenati dall'idealismo fascista, così come molti in Germania sono stati avvelenati dall'idealismo nazista. Liberare l'Italia dal fascismo è uno dei fini di guerra, ed è l'aspirazione della maggioranza del popolo italiano. Chiedergli di ribellarsi è prematuro e inefficace. Il pensare che il popolo si ribelli solo per timore dei bombardamenti alleati (sia pure "scientifici") manca di criterio psicologico e di visione realistica. Contro la forza coalizzata degli eserciti e delle polizie naziste e fasciste, il popolo non può ribellarsi; ogni tentativo sarà soppresso rapidamente, come fu soppressa la rivolta di Marsiglia di fine gennaio. Per suggerire una rivolta che faccia appello alla imaginazione popolare, occorrono non i bombardamenti alleati, ma gli aiuti di eserciti sul proprio territorio, e la fiducia che ci sia consonanza di idee fra quelle del popolo che si rivolti e dell'esercito alleato che lo sostenga. Così viene posto in primo piano il problema politico dell'occupazione militare. C'è o ci sarà una tale consonanza? Occorrono dichiarazioni nette e senza equivoci, direttive sicure a quanti comunicano per la radio o per altri mezzi con l'Italia. Il popolo italiano dovrà essere certo che non avrà da fare con un fascismo di riserva ch'e, dopo l'occupazione alleata, lo tiranneggi più o meno come quello attuale. Se gli alleati combattono per la libertà, è proprio questa che il popolo italiano dovrà riguadagnare, per decidere esso stesso "della forma di governo sotto la quale essi desiderano di vivere" com'è scritto nell'articolo terzo della Carta dell’Atlantico. Sarà l’Italia futura monarchica o repubblicana?... …Quanti siano oggi in Italia quelli che difendono la monarchia come istituto, quand'anche non si sentono di attenuare le colpe dell'attuale sovrano, quanti invece siano per la repubblica, non piro affatto dirsi. Ogni affermazione mancherebbe di base. Si può supporre, senza fare uno sforzo d'imaginazione, che un buon numero sia favorevole all'idea che Vittorio abdichi in favore del principe ereditario, per non portare, in nuova atmosfera politica, una discussione irritante sul passato del re. Forse l'abdicazione sarebbe già avvenuta da tempo, se Mussolini non avesse inserito nella costituzione del gran consiglio fascista la disposizione che tale consiglio deve dare il suo parere nell'occasione della successione al trono. Era questo una specie di diritto di veto, da farsi valere contro una successione anti-fascista? Ovvero una spada di Damocle sopra il monarca attuale e sopra l'erede di diritto, perché stessero in linea col fascismo? Probabilmente l'uno e l'altro.'Vittorio munì di sua firma il decreto di approvazione dello statuto del gran consiglio, così come firmò ogni altra legge fascista, ogni altro provvedimento, comprese le guerre, forse nella convinzione segreta che il fascismo passa ma la monarchia resta. I difensori della monarchia affermavano prima della guerra, che il principe di Piemonte non era fascista, nonostante che qualche volta avesse indossata la camicia nera: noblesse oblige. Ora durante la guerra è divenuto su proposta del "Capo del Governo" maresciallo dell'esercito. La radio fascista parlando di lui in febbraio scorso, l'ha chiamato (il che è una novità) "principe ereditario". In regime autoritario e totalitario, solo a certi segni, come per le variazioni atmosferiche, s'intuiscono i cambiamenti segreti. Tanto in Italia che in America è stata avanzata (in discussione privata) l'ipotesi di una reggenza monarchica (non al tipo di Horty in Ungheria) per evitare i nomi discussi di Vittorio e di Umberto, e, prestare fiducia al figlio di Umberto nato nel 1937. Non è facile dire se tale ipotesi sia del tutto campata in aria. Rumori sono arrivati negli Stati Uniti che in Italia vi sono gruppi che vorrebbero la reggenza di Marie Josè. A me sembra che potrebbero favorire tale soluzione i filo-fascisti della borghesia capitalista per potere riprendere in mano loro il potere, ovvero i comunisti per poter tentare più facilmente una rivoluzione di piazza in un periodo di transazione e di equivoco. In ogni caso, lasciando che monarchici e repubblicani si preparino all'inevitabile contrasto del dopo guerra, evitiamo ogni previsione in materia :— non solo mancano gli elementi di giudizio, ma si ha da fare con gl'imponderabili che giuocano una gran parte negli avvenimenti storici. Ricordiamo che la Francia tra il 1871 e 1875 divenne repubblica solo per caso. Tale problema non è immediato, né per fortuna dovrà essere risolto dai capi delle truppe alleate di occupazione né dai loro governi. Varie le ipotesi dell'andamento della guerra. Fino a che Hitler decide di restare sul suolo italiano, è vano pensare ad un knock-out dell'Italia. Gli alleati la occuperanno poco a poco, secondo i loro piani (se sono quelli di un'occupazione dell'intera penisola di che io dubito), ovvero si arresteranno all'occupazione delle isole. Comunque sia, fino a che l'occupazione sarà parziale e non arriverà a Roma, la cura dei generali alleati sarà quella di agevolare l'amministrazione civile delle varie città e provincie, utilizzando i migliori elementi del posto ed evitando (in quel che sarà possibile) dei Quisling, dei Laval ed altri quinti colonnisti locali. Nessuno penserà che i governi locali in zone occupate ripeteranno il loro potere dal monarca, che sta con gli eserciti dell'Asse dall'altro fronte, ma piuttosto dal popolo in forma di governo provvisorio e in regime di occupazione. Ecco tutto. Il caso di un Darlan che da Algeri renda omaggio a Petain come suo capo effettivo, mentre Petain lo priva della cittadinanza come traditore, è impossibile che si ripeta in Italia. Finché Vittorio Emanuele è con l'Asse, è il rappresentante di uno stato nemico, col quale il popolo liberato non ha che solo una connessione storica e non più giuridica o politica. Supponiamo che gli alleati arrivino a Roma (non è questo un piano militare; "ipotesi è politica non strategica"): una delle due, o il re, lasciato la capitale, si ritira al di là della zona occupata e continua la guerra insieme al suo primo ministro e al suo alleato tedesco, e in tal caso, si ha ancora la conferma (una di più) che si tratta di un nemico che non cede. Ovvero resta a Roma e si dà prigioniero mentre i suoi eserciti continuano la lotta insieme ai tedeschi, e in tal caso il re sarà un eminente prigioniero che avrà perduto autorità (se ne aveva) tanto sui suoi eserciti che sulle popolazioni occupate.
Se invece il re si arrende e ordina la cessazione della guerra e domanda l'armistizio, allora sarà Hitler che si surroga a lui nelle provincie non occupate, fino a che o sarà cacciato ovvero si ritirerà volontariamente. Queste ipotesi servono ad illustrare la tesi che il problema monarchico non è posto dalla volontà degli anti-fascisti all'estero, esso si posò da sé il giorno che il re segnò la dichiarazione dì guerra e ne assunse le responsabilità di fronte al proprio paese e di fronte ai paesi aggrediti. Al momento dell'armistizio, Mussolini e i capi fascisti saranno-fuggiti, Vittorio Emanuele forse avrà abdicato, i generali e gli ammiragli dovranno essere là a firmare l'atto della sconfitta e un governo provvisorio ne erediterà tutti i pesi. Ma tale governo dovrà presentarsi al popolo senza la responsabilità delle colpe passate. III È opinione diffusa in America che il Vaticano sia a favore della monarchia italiana. Non occorre molta imaginazione per crederla esatta. Col trattato del Laterano (1929), il papato rinunziò ad ogni pretesa su Roma e sull'ex-Stato Pontificio. Casa Savoia non è più una monarchia usurpatrice dei diritti del papato né i re d'Italia sono più soggetti a scomunica. Ogni intenzionalità anti-monarchica in Vaticano sarebbe non solo-fuori posto ma una slealtà. Con dir ciò non s'intende affermare, dall'altro lato, che il Vaticano prenderebbe le difese della monarchia nel caso che il popolo italiano vorrà la repubblica.. Che se è a presumere che l'alto clero italiano sia per istinto conservatore più incline all'istituto monarchico, anche pressai! clero vi sono opinioni contrastanti in politica, che non fa materia di disciplina né di fede religiosa. (6) Supposto, però, che la questione monarchica venga di proposito o abusivamente, legata alla questione del concordato fra Stato e Chiesa, ovvero che i repubblicani vengano presentati come anticlericali, allora la situazione sarà assai complicata e potrà divenire pericolosa. Gli antifascisti all'estero hanno fatto varie affermazioni sui rapporti fra Stato e Chiesa.(7) In generale si esclude ogni idea di persecuzione religiosa e di menomazione della posizione del papa come capo della Chiesa Cattolica, e dall'altro si vuole l'abolizione del concordato. Fra i due termini manca il ponte che ne colmi il vuoto, cosa che fecero gli stessi liberali dal 1870 al 1922, ricorrendo a provvedimenti unilaterali che di fatto riuscirono a creare (dopo varie lotte) uno stato di tolleranza che poi in certi periodi successivi arrivò a mantenere rapporti ufficiosi abbastanza amichevoli. Con l'abolizione del concordato cadrebbe gran parte della struttura tradizionale economica e giuridica delle chiese locali, che rimonta a prima del Risorgimento, e che è stata modificata da leggi successive; cesserebbero i contributi di culto governativi sul bilancio dello Stato. Non è il posto di toccare tali questioni in questa rivista, ma non si può non rilevare l'aspetto politico che ha la sua importanza. Un concordato è un contratto fra due; se una parte si sente gravata, dovrebbe, secondo le regole giuri-diche e l'interesse politico, domandare una revisione alla quale dovrebbe arrivarsi d'accordo. E se tale tipo di contratto non è più accetto all'opinione pubblica (cosa da the una liquidazione del passato e un periodo di transazione), tutto ciò dovrebbe dar luogo a trattative diplomatiche, non a denunzie unilaterali. Perché, è bene notarlo, la denunzia unilaterale di un concordato è un atto ostile. La Santa Sede potrà subirlo come subì quello della Francia sotto Pio X, ma nessuno può prevedere quale sarebbe in tal caso la reazione dei cattolici italiani (che non sono quantità trascurabile anche sul terreno politico), e quale la ripercussione presso i cattolici esteri. Quanto una lotta su siffatto terreno non giovi alla pacificazione del paese, che uscirà sfiancato e disfatto dalla guerra e da più di venti anni di tirannia fascista, sembra evidente. Per di più, il problema religioso in Italia non è oggi complicato, come lo era nel periodo del Risorgimento; né con la mano morta ecclesiastica, né con il potere temporale dei papi, problemi quelli che sembravano o erano addirittura insolubili per via di accordi; i problemi presenti non hanno siffatte complicazioni economiche e territoriali. Gli antifascisti ghibellini (li chiamo così perché rappresentano quella parte dell'antifascismo che non essendo anti-religiosa o non tutta antireligiosa, diffida dell'azione "politica del papato") puntano sul concordato a nome della separazione della Chiesa dallo Stato, citando l'esempio dell'America. Ma l'America non ebbe mai un concordato, né si addossò mai gli oneri di culto togliendo alle chiese i beni stabili di terre e case di loro proprietà, né abolì mai gli ordini religiosi. Al contrario, l'America da un regime di discriminazione civile e politica del cattolicismo è pervenuta a quello della completa libertà. La storia del passato condiziona il presente e segna la via dell'avvenire. Quel che interessa tutti, anche i ghibellini, si è di non complicare il problema politico con quello religioso, né di dividere il popolo sulla questione istituzionale sotto il segno del concordato, né di obbligare il Vaticano, per la difesa dei suoi diritti religiosi, a prendere posizione nelle divergenti questioni che si agiteranno nel dopo guerra 6. È' mia opinione che lo stesso clero italiano è convinto che se Mussolini voleva lanciare la persecuzione religiosa, come la iniziò nella primavera del 1931, e come iniziò quella anti-semita nel 1938, il re ne avrebbe firmato i decreti senza discussione, com'è stato sempre sua regola.
IV Quel che solitamente interessa il popolo italiano, dopo la liberazione della doppia tirannia tedesca e fascista, si è la ripresa della vita normale con meno scosse possibili e con una certa prospettiva di benessere, sia pure non immediatamente conseguibile. L'Italia è socialmente un corpo ammalato, che ha bisogno di cure immediate per rimettersi in piedi, specialmente cure psicologiche ed economiche. Per le prime dovrà evitarsi sia la paura di ricadere in mano fascista, sia il pericolo delle vendette locali contro i mille tirannelli grandi e piccoli. Non debolezze verso i responsabili, ma neppure la caccia al fascista. Molti cedettero per debolezza, altri per necessità di vita; gli eroi delle prigioni, dei campi di concentrazione e dell'esilio non debbono pretendere di avere il diritto di primogenitura né il monopolio della purità antifascista. Molto va perdonato o compatito, molto va compreso. Solo dovrà essere fermo una volta per sempre che nessun uomo politico o capo di organizzazioni fasciste dovrà occupare posti di responsabilità; che i delitti comuni commessi sotto pretesto politico, dovranno avere la loro sanzione; che i capi del fascismo dovranno subire la giustizia internazionale come quelli nazisti. Dal punto di vista sociale, una recente frase dì Pio XII (Natale 1942) riassume gran parte delle aspirazioni del popolo italiano, là dove auspicò ad "un ordine sociale che renda possibile una proprietà privata anche se modesta, garantita a tutte le classi della società" augurando che il lavoratore venga liberato dalla schiavitù moderna "sia che provenga dallo sfruttamento del capitale privato sia dalla forza dello Stato". In Italia, più che altrove, per la scarsezza delle risorse naturali - il che rende assai difficile e non redditizia una trasformazione industriale su larga scala resteranno a base della vita economica sia l'agricoltura con le piccole industrie connesse, sia la pastorizia, la pesca, la marina mercantile, l'artigianato e solo in parte quella grande industria che non è o non sarà devoluta ad armamenti né protetta a scopi autarchici. Per tale sistema economico la proprietà privata è basilare, la proprietà cooperativa è complementare, la proprietà comune (o comunalistica) è solo eccezionale secondo i bisogni tradizionali dei villaggi e centri rurali. Quando, durante la prima guerra mondiale, l'on. Salandra, allora primo ministro, lanciò il motto: "La terra ai contadini" non fece della demagogia, ma sintetizzò in quel motto un'aspirazione comune alla paesaneria italiana (e anche all'artigianale rurale) e insieme un bisogno dell'economia italiana. Si noti, a scanso di "equivoci, che dare la terra ai contadini non vuoi dire impoverire una classe per arricchirne l'altra, né spezzettare i latifondi (dove ancora esistono) come si usava un tempo, senza riguardo alle condizioni elementari dell'economia agraria, se primitiva o già industrializzata. L'idea è complessa: si tratta di una vera colonizzazione interna con i necessari bonificamenti di strade, acqua, case coloniche, scuole e così di seguito, come già se ne ebbero nelle bonifiche ferraresi di prima del fascismo, e come furono fissate dal progetto agrario del Partito Popolare, approvato dalla Camera dei Deputati nel luglio 1922, e poi ritirato dal sopravvenuto governo fascista.(8) Quando si pensa che l'avvento del fascismo in Italia è legato alla resistenza dei grossi proprietari agrari e latifondisti ai provvedimenti richiesti dalle masse contadine e sostenuti, sotto diverso angolo politico e economico dai partiti popolare e socialista, si comprenderà quale appello faccia nelle masse un piano di bonifica agraria. Le rivoluzioni europee sono quasi tutte legate al problema agrario; anche l'ultima guerra civile di Spagna partì di là. Però non è fuori luogo fare appello alla responsabilità dei futuri uomini politici italiani poiché non si dividano sulla questione agraria, per farne una bandiera di partito, ma cerchino di concordare un piano pratico immediato che non disturbi la produzione normale in tempo di gravissima crisi; e un secondo piano successivo e a varie scadenze, e con passaggi graduali economicamente ben stabiliti. Allo stesso tempo occorre promuovere provvedimenti adatti a intensificare il lavoro negli altri rami dell'economia, a piazzare la mano d'opera, a regolare la smobilitazione degli eserciti ed evitare la disoccupazione. Il ricordo degli anni 1919 e 1920 deve essere presente: allora i disoccupati delle classi medie ingrossarono le file del fascismo e del nazionalismo; i disoccupati delle classi operaie affluivano nei partiti socialista e comunista. Il Piano Beveridge d'Inghilterra, adattato ai bisogni più urgenti delle classi medie e degli operai e contadini, può essere una buona guida per quel che i capi responsabili del futuro governo potranno iniziare in Italia. 8. La bonifica delle Paludi Pontine fu iniziata prima del fascismo da una società privata. Il governo fascista la riprese e la portò avanti facendone una delle sue basi di propaganda. E chi saranno, si domanda, questi capi responsabili, quando verranno spazzati via i capi fascisti grandi e piccoli? è questa una domanda che ci si fa sovente ll'estero. La risposta che ne soglio dare è piena di fiducia benché non sia né precisa né decisiva. Lasciamo via l'idea che i generali siano, in quanto tali, buoni per il governo civile; (l'italiano della mia età ricorda come calamità i Generali Pelloux e Bava-Beccaris); i burocratici tecnici potranno essere utili se controllati e tenuti lontani dalle responsabilità politiche. Gli uomini che al momento della marcia su Roma avevano 30 o 35 anni, domani saranno fra i 50 e i 60: è l'età matura atta a portare il peso della vita pubblica. La gioventù che è cresciuta sotto il fascismo, a parte gli entusiasmi nazionalisti e l'educazione falsa e chiusa data nelle scuole, già da parecchio comincia a sentire che l'Italia è stata tradita. La crisi spirituale, specialmente della gioventù universitaria e intellettuale è grande. La incomprensione del mondo al di fuori del fascismo e della stessa storia d'Italia, li fa impreparati ad affrontare i problemi del dopo guerra. Ma poiché l'italiano non solo è intelligente ma ha la facilità del riadattamento, l'intuizione rapida e la impressionabilità vivace, così non ostante gli errori e le deviazioni, si avrà una massa che più che essere educata, si auto-educherà rapidamente. Tutti coloro, poi, che hanno per venti anni reagito al fascismo o apertamente affrontando la prigione e il confino, ovvero segretamente, o anche indirettamente (e in simili categorie metto un gran numero di democratici cristiani), saranno in grado di riprendersi facilmente e di ritrovare nel nuovo ambiente, la pratica amministrativa e politica che per non uso potrebbe essere perduta. E gli emigrati che ritorneranno, se non sono imprudenti od orgogliosi, e moltissimi non lo sono, si uniranno ai loro fratelli dell'interno per cooperare non per dominare. I nomi? Nessuno li conosce e solo si sapranno quando sventolerà la bandiera della libertà in zona italiana.
Nota dell’editore L’articolo di Sturzo è stato scritto nel febbraio del 1943 e pubblicato in lingua inglese nell’Aprile dello stesso anno sulla rivista Foreign Affairs. L’articolo ci dice che Tunisi è ancora nelle mani dell’Asse, ma allo stesso tempo ci preannuncia con chiarezza lo sbarco in Sicilia. Dopo il 25 luglio, l’articolo venne tradotto in italiano e diffuso come materiale propagandistico alleato in una edizione supereconomica pubblicata da Macdonald & Co. Pur nella sua semplicità, lo scritto ci ricorda altre grandi opere di questo cattolico antifascista che fu esule dal 1924: L’Italia e il fascismo, Chiesa e Stato, Le guerre moderne ed il pensiero cattolico. Luigi Sturzo |