Il Tamburino Sardo


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astensionismo

Rubrica bassa cucina

L'astensionismo nelle elezioni provinciali
(Azazello) per gentile concessione di www.ventirighe.it

Quando i Mondiali di calcio – la più efficace arma di distrazione di massa esistente in Italia – saranno stati archiviati e sarà passata pure l'estate – che gli sta subito dietro in potenza – verrà un brutto giorno in cui qualcuno, da Villa Devoto, ci verrà a dire “Bambole, non c'è una lira” e ci snocciolerà davanti un rosario di misure draconiane per riversarci addosso i debiti pubblici di competenza regionale.

Conosceremo di nuovo i ticket per le prestazioni sanitarie, vedremo i contributi per lo sport e la cultura drasticamente ridotti e le addizionali fiscali locali raggiungeranno la quota massima consentita. “Lo fanno anche altrove” ci diranno – e sarà vero – unite a una serie di giustificazioni lamentose che aggraveranno quei sacrifici di un sovrappiù di molestia nei confronti di chi, e saremo tanti, si acconcerà a sopportarli per amor di patria.

Ci sarà una sola cosa che Cappellacci e i suoi ci risparmieranno: l'abolizione delle Provincie bonsai dei cui la Sardegna si è generosamente dotata nove anni fa e che risultano essere le meno popolose dell'intero Paese. Sì, perché tra le prerogative autonomiste che il nostro Statuto avrebbe consentito alla Regione non si è certo scelto di valorizzare la nostra “sardità” nell'ambito della scuola o dell'università – manco per idea. La nostra irriducibilità storica si è espressa invece con la proliferazione di enti locali, la moltiplicazione dei capoluoghi, la bulimia localistica, con il conseguente rigonfiamento del già pingue numero degli amministratori pubblici.

Solo i Sardi possono stabilire di quante Provincie hanno bisogno si è detto e presto fatto: da quattro a otto come manco Silvan, e i capoluoghi poi, un capolavoro: in ognuna delle nuove se ne sono fatti a due e a tre, così che anche i Consigli comunali interessati si vedessero aumentare le poltrone. Una manna per i trombati e gli emergenti, i politici di lungo e breve corso: tutti ad amministrare qualcosina, che sennò qualcuno ci perdeva la mano nelle pause di mandato. Ci si è provato ad abortirle per via referendaria – qualche industriale con la testa sul collo e i soliti quattro radicali – ma la parola d'ordine bipartisan è stata Astenetevi, che le esigenze della democrazia derogano all'ottusa ragioneria del risparmio. È la gente a volerle dissero i politici arrapati dall'apparecchiatura e finì che nacquero, e cinque anni fa le si votò, con gran clamore di fanfare (e di fanfaroni) per il superiore bene del popolo.

A distanza di soli cinque anni si è visto quale sia il giudizio del suddetto popolo in merito alla loro utilità: la metà dei Sardi manco si è allacciato le scarpe per uscire a votarle e meno di tutti quelli per i quali si è detto di aver costruito l'andabaran: in Gallura, in Ogliastra e nell'ineffabile Medio Campidano la percentuale si è fermata ben al di sotto della soglia che, nelle riunioni di condominio, fa saltare la seduta e rinviarla alla seconda convocazione.

Pare insomma che il popolo beneficiato abbia opinioni leggermente differenti da quelle dei propri rappresentanti locali e che ritenga l'andare ad eleggerli una perdita di tempo: non c'è che dire, una bella manifestazione di stima per la politica sarda!

Credete che uno schiaffo del genere abbia coricato qualche pelo dell'irsuta classe dirigente isolana? Niente affatto. Hanno temuto per qualche ora che il crollo dell'affluenza avesse penalizzato più la propria parte dell'altra e poi, ad urne aperte, hanno ripreso a fare la loro politica come sempre: passata la buriana si aprono altri cinque anni di tranquillità, hanno pensato, e chi non vota, del resto, non ha voce in capitolo. Nessuno che abbia detto o scritto che forse c'è qualcosa che non va in una democrazia in cui il popolo non riconosce i propri organi amministrativi semplicemente ignorandoli, in cui la rappresentatività non supera la soglia fatale della metà più uno, in cui le necessità degli elettori appaiono così distanti da quelle espresse dagli eletti.

Nessun professorone, nessuna delle menti illuminate che così spesso ci spiegano il mondo dalle pagine degli interventi dei giornali ha ritenuto di dire una cosa che a me appare lampante: un'assemblea di mandatari che non riceve mandato da oltre la metà degli aventi diritto è un'assemblea fortemente delegittimata, che dovrebbe preoccuparsi innanzi tutto della propria democraticità – e solo dopo passare ad incassare i gettoni di presenza.

Se vi sembra che il problema esista sì, ma che vada affrontato con cautela, valutando gli aspetti controversi, le contingenze, le anomalie, pensate però anche a questo: che una contingenza importante è anche il fatto che – passati i Mondiali e l'estate – tutti noi dovremo pagare parecchio per tirare fuori l'acqua che imbarchiamo pericolosamente e che rischia di affondarci in un mare di debiti. A me pare che se qualche “sacrificio” lo facesse anche la politica, ad esempio tagliando i costi dei centri di potere che non risultano così importanti ad opinione degli elettori-contribuenti, non sarebbe questo gran danno per la nostra democrazia

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