Il Tamburino Sardo


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domande indipendentisti

Rubrica bassa cucina

Due o tre domande agli indipendentisti
(Azazello) per gentile concessione di www.ventirighe.it

Non mi convincono gli indipendentisti: partono sempre a parlare di Nazione e finiscono tutti a sognare lo Stato.

Tante belle parole, prima: lingua, storia, cultura - come no? - e poi, asciugati gli occhietti dalla commozione, eccoli a discutere di assetti e di poteri. Un nuovo Stato è una terra vergine della politica: mille tasselli da sistemare, mille posti da occupare. Ogni tanto l'impressione è che gli indipendentisti di casa nostra ci coglionino colle farfalle identitarie per disegnarsi tra loro in santa pace le future stanzette del potere.

Perché - sbaglierò io? - se qualcuno dice che i problemi della sua terra nascono dall'incapacità del Governo centrale di risolverli, dovrebbe anche spiegare perché invece ci riuscirebbe un Governetto locale, più povero e piccolo; solo perché è più vicino? Oppure pensiamo davvero che sia tutta una questione di cattiva volontà di chi, da lontano, non si danna l'anima e che se invece a decidere fossero gli indigeni sarebbe tutta un'altra musica? Siamo davvero a questo punto: tutto il potere ai Soviet?

Magari sbaglierò davvero io, ma a me piacerebbe che me lo dimostrassero questo concetto, per cui un condominio funziona meglio di un Comune e il Comune meglio di una Regione e via così, in un crescendo di incompetenze che dà per scontato ciò che invece sarebbe tutto da dimostrare: ossia che una Sardegna indipendente sia un vantaggio per i Sardi e non solo per quella manciata di corregionali che dovrebbe andare a governare l'Isola emancipata.

Magari qualche esempio ce lo potrebbero fare - così, per analogia. E raccontarci di come l'autonomia dello Statuto ci abbia permesso - che so? - una sanità eccellente, una scuola di prestigio, istituzioni all'avanguardia. Perché se magari questi esempi in una manciata di decenni di specialità regionale non si possono proprio fare, forse è colpa di uno Stato patrigno che ci soffoca per sadismo centralista, ma è anche possibile che la responsabilità stia in un sardismo cialtrone che ha inventato l'autonomismo per coprire l'ambizione dei suoi generali riversandosi poi, con spirito democratico, in tutte le forze politiche che ci hanno governato da Cagliari negli ultimi sessant'anni.

Siamo seri: continuare a marciare sulla retorica del colonialismo che dagli Aragona in giù avrebbe soffocato la libertà giudicale può bastare per qualche giovane con l'animo combustibile e le letture razionate, ma non sostituisce un programma capace di convincere un numero ragionevole di persone. E lo scoglio del consenso democratico è quello contro cui si infrangono da anni le immaginifiche speranze dei nostri patrioti isolani.

E' vero che i voti dell'IRS e del Psd'Az a sommarli assumono una consistenza ragguardevole, ma è anche vero che in politica le somme aritmetiche vanno ponderate e le voci indipendentiste, in Sardegna, continuano a cantare in dissonanza come manco i peggiori cori parrocchiali. Se non riescono a intendersi tra loro, mi chiedo, e tanto meno con la nebulosa galassia di listine che ogni volta si coltivano le proprie percentuali da prefisso telefonico, come sperano di convincere il grosso dell'elettorato isolano della bontà delle proprie idee?

Nell'ultima tornata amministrativa, ad esempio, chi a Sassari ha dato fiducia a Gavino Sale per la prosecuzione del suo mandato di consigliere provinciale non si è nemmeno sognato di appoggiare sulla scheda comunale l'ipotesi del primo sindaco sardista, né quella - ancor più suggestiva - del candidato "presoneri": fuori dagli ordini di scuderia, insomma, sono stati voti in libertà, senza che le sirene di una candidatura di bandiera nazionalista trovassero il minimo conforto. I patrioti insomma non dialogano tra loro e l'alba di una Sardegna indipendente si allontana verso un remoto orizzonte di future intese, da iscriversi in un'agenda che ancora non è manco andata in tipografia.

C'è anche chi si balocca con le ipotesi secessioniste in salsa fiamminga - "non sarebbe un dramma" dice Maninchedda citando Alesina - senza degnare di una virgola l'esperienza balcanica non proprio esaltante in materia. Chissà perché, poi, se a sbraitare di secessione lo fanno i cafoni leghisti, sono tutti lì col ditino alzato muniti dell'indignazione d'obbligo, mentre se a minare la Costituzione unitaria ci pensano i nazionalisti di casa nostra non c'è mai nessun Custode della Carta a prendere cappello (e penna) per intimargli rispetto: sarà forse questione di cadenza - e quella lombarda non fa gran simpatia.

Così finirà che la mozione indipendentista che i Quattro Mori hanno depositato in Consiglio regionale sarà discussa perché Cappellacci non ha la forza manco di impedire che le donne delle pulizie gli spengano le luci quando lui è ancora alla scrivania. Finirà che magari quella mozione passa, con grande giubilo degli irredentisti in vellutino e l'assoluta indifferenza dei Sardi liberati dal giogo continentale. Finirà che forse il Consiglio degli 80 maggiorenti di Sardegna collezionerà un'altra perla di assoluta inutilità tra le sue ponderose raccolte normative.

Così, sommessamente, in attesa delle decisioni circa la scelta dell'inno nazionale e della foggia delle divise d'ordinanza, pregherei gli indipendentisti di ogni rito di fare un po' di chiarezza e di spiegarci - a noi che non capiamo al volo - perché mai dedicarci alla costruzione di un altro Stato anziché al laborioso e certosino impegno per liberarci dal maggior numero di pastoie di quello che già abbiamo - così, giusto per capire, che la battaglia a naso mi sembrerebbe più avvincente.

Oppure ci dicessero se l'arnese che tanto li accalora sia davvero il migliore a salvaguardare l'unica ricchezza, quella sì, vera, della cultura sarda, o non ne sia piuttosto la rovina. O anche, quale sarebbero i partner d'oltre Tirreno con cui costruire quella confederazione che pare la panacea di tutti i mali isolani, malaria compresa, visto che di stati confederati nati da un divorzio se ne conoscon pochi.

Due o tre risposte, possibilmente brevi, da sardo a sardo, in creanza, sempre se la sacrosanta lotta di liberazione nazionale lascia del tempo, s'intende.



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Io non ci capisco niente di politica e tantomeno di indipendentismo, ma mi sembra che il popolo sardo abbia avuto pochi privilegi da questa politica e da questo stato, poco importa che sia stato amministrato da destra o da sinistra, siamo la regione italiana con piu disoccupati, si parla di crisi ma in Sardegna la crisi è permanente, i piccoli centri interni della Sardegna si stanno svuotando ad una velocità paurosa, non ci sono piu risorse e il turismo che potrebbe salvare gran parte dalla Sardegna, è sfruttato da imprenditori non sardi, siamo circondati da basi americane e Nato, poligoni di tiro e polveriere, ci rubano continuamente il territorio per quattro soldi vedi lo sfruttamento eolico, le future centrali nucleari, potrei andare avanti all'infinito, siamo sempre stati un popolo sottomesso agli altri, vogliamo continuare ad esserlo? capisco che il progetto degli indipendentisti sia alquanto ambizioso, ma almeno da quanto ho potuto capire non mi pare come dice lei che stiano già pensando a spartirsi le eventuali poltrone del potere, diamogli tempo e magari fiducia e perchè no? sostegno, magari non si arriverà all'indipendenza, ma se il gruppo cresce, può mettere la pulce all'orechio di qualcuno e magari avremmo qualche privilegio in piu rispetto ad adesso e magari molti sardi, me compreso, potranno tornare in Sardegna a lavorare, o almeno a trascorrere la vecchiaia assieme alla propria gente.
grazie e forza paris

gianni (sardo)







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