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Rubrica bassa cucina
La colpa della memoria
(Giampiero Muroni)
Cinque ragazzi eritrei che scappano dall'Etiopia per venire in Italia attraverso la Libia: sta tutta qui la metafora della nostra storia coloniale, del nostro imperialismo straccione che ci impedisce di farci carico delle responsabilità che l'Italia “respinge” oltre le frontiere invisibili del mare, come allontanasse con la mano un ordine di grandezza che non le è proprio.
Tutti i processi di decolonizzazione sono pieni di crudeltà e di vessazioni criminali, ma l'Italia ha aggiunto di suo l'ipocrita rappresentazione di se stessa come “brava gente”. Mai siamo stati capaci di difendere con orgoglio i diritti dei nostri profughi istriani e libici o della scarna generazione mezzosangue che ha subito le persecuzioni inglesi ad Addis Abeba. Piuttosto sempre pronti a scendere a patti coi governanti corrotti – ieri Siad Barre, oggi Gheddafi – anziché ad accogliere persone disposte a correre il rischio di morire per l'Italia. Sempre coi dittatori, mai coi loro popoli.
Salvo il fatto che quei cinque disperati, superstiti di una strage da orrore, hanno a che fare parecchio con l'Italia, perché la storia non c'entra con la diplomazia dandy di Frattini o con le cialtronerie leghiste: la storia chiama le cose per nome e le nazioni alle conseguenze dei loro atti. Quegli stessi atti che hanno dato la morte con l'iprite agli abissini, prima di dare loro strade e fogne, certo, e forche.
Nel 1997 speronammo una nave albanese facendo affogare 100 nipoti dei sudditi del re d'Italia che sognavano un futuro che iniziasse in Puglia. Anche allora toccò alle loro morti il compito di ricordarci che non si può sfuggire al passato e che se siamo una meta per milioni di disperazioni lo si deve anche alle baionette e ai blindati Fiat e ai cappelli piumati che abbiamo portato un secolo fa in Africa e nei Balcani a guadagnarci la gloria e a donare la civiltà romana e cristiana e le incursioni aeree tra i tucul. Anche allora, nel 1997, si trattò di un tragico errore senza colpe, come oggi. La colpa è un portato della memoria: senza l'una non si ha l'altra.
Forse qualcuno crede che essere un grande Paese dipenda dal livello del proprio PIL. Io penso che ciò che siamo lo stiamo dimostrando, in un sovrapprezzo di atrocità, a quei cinque naufraghi superstiti, sbattuti tra le onde della pietà distratta dall'Agosto e l'accusa di immigrazione clandestina.
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