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Rubrica Finestre
Scuole per il riscatto sociale dei sardi
Note sparse sull’istruzione in Sardegna in vista del federalismo
(Piero Atzori - docente e rappresentante prov.le A.P.E.F. Sassari)
Iscolas chi ischident sa mente ddue cherent, chi azudent sos sardos a si artziare e a si libertare.
Perché queste righe
Tutto l’ambaradan di questi mesi finali del 2008 contro i decreti Gelmini, con docenti che suggeriscono e sostengono forme di lotta studentesche, che si trincerano per condurre battaglie superate, opposizione speranzosa che rinfocola la protesta, governo pressato dalla crisi economica che fa il ragioniere mezzemaniche, si inserisce nel lungo processo di deriva di una società che non ha a cuore l’istruzione e il futuro dei giovani.
I giovani subiscono pesantemente le conseguenze di questa deriva, che si caratterizza con la sempre più pronunciata sostituzione dell’istruzione con l’educazione e lo stare bene insieme. Direi che stiamo promuovendo una sorta di enucoidismo sociale, mentre ci serve gioventù ben formata e competitiva. Nelle loro povere aule i ragazzi si abituano alla precarietà sia strutturale che organizzativa e negli anni subiscono una mitidratizzazione che impedisce loro di diventare liberi cittadini. Molti, in questi mesi, non senza la compiacenza di insegnanti e genitori, hanno colto l’occasione della protesta antigovernativa per trasformare le scuole in centri sociali autogestiti, finendo così per accentuare il fenomeno della deriva in atto. Quel che più duole è che i ragazzi perdono il tempo dello studio e, in prospettiva, rischiano di precludersi la possibilità di un futuro degno di loro.
Ritengo che davanti a simili provocazioni non si possa tacere. Ecco perché scrivo queste righe, come sardo prima ancora che come insegnante, pensando ai miei alunni, ai quali da un po’ di tempo non faccio che raccomandare di lasciare l’isola per gli studi universitari, affinché non subiscano l’effetto negativo delle ristrettezze locali, anche mentali, affinché possano inserirsi nel contesto europeo. Penso che per garantirsi il diritto allo sviluppo (1) debbano varcare il mare e che lo debbano varcare con l’orgoglio che proviene dalla coscienza di essere figli di un’isola che non è affatto parte marginale dello Stato italiano, ma il suo primissimo lembo, giacché, come sostiene lo storico Francesco Cesare Casula: “L’attuale Stato italiano non è altro che l’antico Regno di Sardegna (1324) ampliato nei suoi confini.”.
Penso che i nostri giovani debbano assolutamente coltivare la propria identità di sardi liberi, se vogliono affermarsi e avere pieno successo e non rimanere gli ultimi tra gli italiani e gli europei, senza dignità. Devono dunque studiare con impegno la propria storia e insieme la lingua dei padri e dei nonni. Solo così anche l’Italia, che sembra tornata ad essere una semplice espressione geografica, potrà avere un futuro. Non è questa presente la nostra Italia, non è certo per questa Italia che i nostri padri, nonni e bisnonni hanno combattuto. Non è questa l’Italia che sognavano e delineavano Mazzini, Asproni, Garibaldi, Cattaneo, Tuveri.
Frades, a d’artziare sa conca siada! Poite bos-i bio diasi tristos e miserinos?
La prospettiva del federalismo
La prospettiva del federalismo dovrebbe provocare una scossa salutare per la Sardegna, invece non sembra suscitare alcuna reazione. Lungi dal guidare attivamente il processo, la Sardegna si prepara a subirlo, dimenticandosi che Carlo Cattaneo, uno dei padri ideali del federalismo, è stato qui a lungo di casa per i suoi interventi a favore dell’isola (2). Mi chiedo come sia possibile che il cambiamento costituito dal federalismo scolastico che partirà il 1° settembre 2009 (come ha stabilito la Conferenza delle Regioni), non veda in Sardegna un vivace dibattito. Tonio Mura con un breve intervento dal titolo: “Come ci stiamo preparando al federalismo scolastico”, pubblicato nel sito www.sardegnaeliberta.it, ha evidenziato l’immobilismo regionale. Egli sostiene che poiché il sistema complessivo dell’istruzione in Italia rimane ancorato a obiettivi risorgimentali del tipo “fatta l’Italia, facciamo gli italiani” e a quelli gentiliani legati all’estrazione sociale si hanno “ripercussioni pesanti nel contesto sociale ed economico con scarsa propensione all’imprenditorialità, alla cooperazione, all’innovazione tecnologica e quant’altro.”. Mura si dichiara ottimista (?), ma osserva che ancora non c’è un segno che lasci pensare che la Regione stia preparando un piano per gestire in proprio, con lungimiranza, il federalismo scolastico.
Condivido le osservazioni di Mura e penso sia ora di dedicarsi alla Sardegna, proiettandola in Europa. Siamo in una situazione che definire drammatica è eufemistico. Tutti ormai rilevano il fatto che gli spiragli di mobilità sociale che la scuola repubblicana fino agli anni settanta del ‘900 garantiva ai meno abbienti oggi sono praticamente chiusi. Oggi la scuola e l’università cristallizzano i rapporti sociali, conservano lo status quo. Scuola e università promettono non mantengono ingannano. Quand’anche il giovane di famiglia povera riesce a laurearsi, solitamente in un corso che non dà molte chance, nel cercare poi di far valere il pezzo di carta conseguito deve attendere anni e spesso ripiegare verso un qualsiasi impiego. A tal proposito sarebbe utile sapere quanti laureati nelle università sarde trovano occupazione coerente con gli studi fatti entro il primo anno dalla laurea. Suppongo pochi. L’unica strada che rimane ad un giovane sardo per ottenere successo è quella di intraprendere gli studi fuori, visto anche che costa meno studiare a Parigi, ad esempio, che a Milano, perché le spese di alloggio negli studentati francesi risultano inferiori a quelle degli alloggi italiani, quasi sempre privati.
Penso che in attesa di una riforma complessiva del sistema scolastico italiano che fissi obiettivi chiari, struttura, organizzazione, regole generali di funzionamento, diritti e doveri di tutti i soggetti interessati sia ora di definire un’idea di Uomo, di cittadino e di società sarda aperta all’Europa. In ogni caso serve urgentemente “un piano per l’intero sistema formativo dell’isola – come ad esempio ha chiesto l’assessore alla pubblica istruzione di Pozzomaggiore, Giorgia Pinna – che tenga conto dei nuovi processi in atto e di un diffuso ed effettivo diritto allo studio, di un rapporto allievo-insegnante più efficace a livello psico-pedagogico e più aderente alle specificità socio-ambientali dei comuni sardi” (Nuova Sardegna 13/11/2008 pag.35). Occorre una chiara politica che veda l’insegnamento della storia oltreché della lingua sarda a iniziare dalla scuola primaria.
Qualità e istruzione secondaria
In attesa della riforma, per migliorare l’istruzione è necessario valutare le scuole e i dirigenti scolastici. Considerate le modalità di reclutamento degli attuali dirigenti, che non escludono il patrocinio di partiti o sindacati e non includono particolari meriti culturali, né manageriali, valutare in modo oggettivo i dirigenti in Italia non è una facile operazione.
I dirigenti sembrano comportarsi spesso come rotelle di un sistema che non ammette valutazioni esterne e che è in grado di addomesticare criteri e modalità di valutazione. Una valutazione il più possibile oggettiva ed esterna al potere politico-sindacale è però indispensabile se si vuole cambiare pagina. Altrimenti è come navigare senza bussola. Si tenga anche presente che una valutazione oggettiva del merito o del demerito dei dirigenti scolastici è condizione necessaria per assegnare loro il compito di esprimersi oggettivamente sul merito o sul demerito degli insegnanti.
Nel Regno Unito si dedica molto impegno alla valutazione sia delle scuole che dei dirigenti. L’Ofsted, ossia l’ente preposto alla valutazione, ispeziona ogni tre anni ciascuna scuola. La classifica va in rete. Se le scuole ritenute insufficienti non migliorano vengono o chiuse o accorpate. Anche in Francia e in Spagna si dedica molto impegno alla valutazione delle scuole.
L’Italia ha istituito l’Invalsi, ma lo tiene a stecchetto e non lo fa funzionare. Nelle scuole, il discorso della valutazione nazionale ha spesso trovato opposizione e boicottaggio. Neutralizzato l’Invalsi poi si criticano i risultati Ocse-Pisa minimizzandone il significato. Io stesso nutro delle riserve sulla lettura che si dà di queste indagini, tuttavia le devo difendere da critiche a dir poco pretestuose. In ogni caso vale l’immagine, negativa purtroppo, che vien fuori a livello internazionale della scuola italiana e che non si è in grado di correggere con rilievi oggettivi di segno diverso.
Qualità e proteste
Mentre in Finlandia i governi sia di destra che di sinistra quando si occupano di scuola lo fanno pragmaticamente, senza inutili contrapposizioni, in Italia le parti erigono barricate. La forte protesta contro le recenti disposizioni in materia di istruzione, sollevata nelle scuole dagli insegnanti ha motivazioni prevalentemente occupazionali e ideologiche e obiettivi di continuità con il passato. Eccettuata la questione del maestro unico, che verte su controversi aspetti di qualità, per le scuole medie inferiori e superiori non si sono sentite, né lette molte parole sulla qualità dell’istruzione.
Preoccupante è il dover constatare quanto ci si dimentichi degli aspetti concreti e di quelli qualitativi dell’istruzione, se si detesta il governo in carica. Ci sono colleghi professionalmente egregi che paiono aspettare momenti come questo attuale per scatenarsi, dopo una costante prassi che li porta ad evitare ogni conflitto utile al miglioramento della scuola. Basta poi considerare il ruolo giocato da molti docenti che alle soglie dei quarant’anni si trovano ancora precari e hanno alle spalle anni di incertezze per capire che la qualità dell’istruzione non è all’ordine dl giorno. Lo è invece la giustizia sociale. Il precario della scuola ha subito troppi insulti e non è proprio possibile che si occupi di qualità nel momento stesso in cui gli si vuole togliere la terra da sotto i piedi. E’ chiaro che di qualità dell’istruzione si potrà parlare solo dopo aver risolto il problema del precariato.
In momenti di agitazione e di contrapposizione come questo la qualità dell’istruzione è più che mai in mezzo a fuochi incrociati tra Governo, opposizione, sindacato, precariato e ovviamente anche in questa occasione soccomberà.
Qualità e risparmi
I risparmi si possono fare, ma non vedo il buon padre di famiglia. Faccio, per cenni, solo alcuni esempi pro e contro le misure del Governo.
Primo: la misura dell’innalzamento del numero di alunni per classe di 0,40 nel prossimo triennio, rischia di tradursi in classi anche di trenta alunni. Se ciò fosse, dal punto di vista qualitativo, sarebbe un danno. Mancano persino i locali idonei per igiene e sicurezza, in classe servono infatti 2 mq per alunno, oltre all’uscita che deve essere di 1,20 m. L’applicazione di tale misura rischia dunque di determinare pesanti effetti sulla didattica e sulla qualità dell’istruzione.
Secondo: è invece giusta e buona la misura di ridurre l’orario dei tecnici, dei professionali e di quei licei dove si fanno 35-36 ore settimanali di lezione. Il dituttounpo’ deve cessare, si deve puntare al dimenoemeglio. Si deve cioè reinvestire i risparmi in qualità, giacché è il ragazzo il centro non il disoccupato intellettuale.
Terzo: la misura che impone a tutti i docenti le 18 ore in classe è giusta, ma non al prezzo attuale di peggiorare l’organizzazione didattica e dunque la qualità dell’istruzione.
Quarto: il reinvestimento miserino del 30% degli 8 miliardi che si calcola di risparmiare in formazione, in nuove tecnologie e in premi per i docenti meritevoli dice quanto al Governo importi della qualità.
Se si vuole migliorare la qualità dell’istruzione, si riducano i finanziamenti per le attività pomeridiane che si sono dimostrati controproducenti e si reinvestano i risparmi per migliorare l’offerta formativa antimeridiana. Parlo di ogni possibile condizione favorevole per l’insegnante, a partire dalla rispondenza alle esigenze didattiche di locali, attrezzature, sussidi, ma anche di un aggiornamento mirato e di alto livello, di validi aiutanti tecnici. Le scuole al pomeriggio possono essere utilizzate per recuperi, sostegni, tutoraggio, pochi validi progetti. Vanno aperte agli adulti, come del resto si sta già facendo, ma i ragazzi devono aver salvo il tempo della riflessione e dello studio individuale, se si vuole guidato, altrimenti va tutto a catafascio.
Questa posizione deriva dal fatto che le estensioni quantitative attuate negli anni ’70 e ’80 decise per fini di equità compensativa (Don Milani) – mi riferisco a tempo pieno, tempo prolungato, ampliamenti orari nella secondaria superiore (es.corsi Brocca), arricchimenti formativi, progetti vari – lungi dal sollevare hanno al contrario ridotto i livelli di istruzione dei nostri giovani.
Questo discorso vale anche alle elementari. Anche alle elementari occorre distinguere la qualità dell’istruzione dal tempo pieno o dal tempo prolungato. Il tempo pieno e quello prolungato soddisfano infatti giuste esigenze sociali, ma nulla hanno a che vedere con la qualità dell’istruzione. I nostri maestri non la menino troppo la questione della qualità visto che se la scuola Elementare italiana è ben collocata a livello internazionale, disaggregando il dato sardo dei “Risultati scolastici”, la Sardegna è ultima in Italia (vedasi Allegato 1)
La Sardegna purtroppo nelle indagini nazionali (vedasi Allegato 1) e internazionali (Ocse-Pisa), arriva buona ultima tra le regioni italiane, per usare una recente espressione dell’assessora regionale alla Pubblica Istruzione.
I nostri giovani, con poche eccezioni, se non si disperdono prima, escono dalla scuola per nulla competitivi rispetto ai loro coetanei europei. Oltretutto escono a diciannove anni e non a diciotto come ad esempio in Francia. In un momento di integrazione come l’attuale questo fatto non promette niente di buono. Aggiungiamo che usciti così dalla scuola superiore i nostri ragazzi vengono lusingati per iscriversi a corsi come Scienze della comunicazione, da dove usciranno sicuri disoccupati.
Vorrei avanzare due proposte di risparmio che non intaccano la qualità degli studi. Un po’ di risparmio mi pare si possa fare se la si smettesse di considerare il gruppo classe sacro alla stregua della famiglia. L’insegnante di Religione può benissimo gestire venticinque alunni per l’ora di lezione come gli altri colleghi unendo gruppi, di chi si avvale di tale insegnamento, provenienti da due classi diverse. Oggi può averne anche solo due di alunni avvalentisi.
Ciò potrebbe valere anche per altre discipline. Ossia sarebbe utile talvolta riunire due, tre classi per volta, affidandole anche ad un solo docente. Alludo al caso, ritengo non raro, di presenza in istituto di docente di una determinata disciplina che possieda eccezionali competenze su determinati ambiti disciplinari. Sarebbe intelligente consentire in certi casi un ottimale utilizzo delle lezioni di alto livello. Il discorso si blocca però per i noti limiti strutturali.
Tolta l’aula magna, non esistendo alcuna parete mobile che consenta di modificare gli spazi, le scuole non possono attuare questa particolare forma di flessibilità organizzativo-didattica. Già, i pochi fondi assegnati alle Province servono in larga misura per il loro apparato politico-amministrativo, non per le scuole.
Tornerò brevemente su questo punto.
Il capitolo dolente della politica regionale
All’assessora,
In bonora 'essidicche,
fàinde pàrese, fatteriande,
inari ses fuliande,
toca toca, baidicche,
est bennia s’ora,
de ti frundare a fora.
… E no che torres!
In controtendenza rispetto alle attuali scelte europee di riduzione dei quadri orari per migliorare l’offerta formativa, la Sardegna decide ancora di distribuire contributi finanziari alle scuole per integrazioni varie, a pacchetti di trenta ore, convinta di ridurre così il fenomeno della dispersione scolastica. Non bastassero i soldi a pioggia dello scorso anno, ben 29 milioni di euro, quest’anno, prima ancora di valutare i risultati conseguiti dopo tale impegno finanziario, si spargono senza costrutto altri 30 milioni di euro, mentre i veri nodi non si affrontano minimamente (3).
Devo rilevare con disappunto che alla Regione non sanno o non vogliono sapere che l’insegnante, pur bocciando tali iniziative come soluzioni al problema della dispersione scolastica, si sente costretto a produrre progetti solo per ottenere i finanziamenti necessari per acquistare strumenti che in altro modo non è possibile avere e che nei collegi dei docenti iniziative discutibili come quella regionale trovano consenso apparente perché gli interventi critici rischierebbero di scatenare reazioni personali dei colleghi che presentano progetti.
Evidentemente occorre persuadere i responsabili della Regione che la dispersione scolastica si può ridurre senza distogliere i ragazzi dallo studio individuale pomeridiano, con un’attenta revisione di tutta l’organizzazione scolastica, con una migliore distribuzione dei vari indirizzi nel territorio, con una rimotivazione degli insegnanti, con una valida strategia di orientamento.
…e l’inutilità delle province
Le Province si occupano di emergenza perenne, di manutenzione ordinaria e finanziano qualche progetto extracurriculare.
Le poltrone sembra non servano come postazioni per migliorare la situazione logistica delle scuole, bensì come morbidi supporti per creare sempre nuove opportunità di affermazione personale. Poltrona e deretano non si disaccoppiano neppure per i necessari sopralluoghi sullo stato dei locali e dunque vengono promesse aule sulla base di mappe che non tengono conto delle ultime ristrutturazioni. Quando, poi, l’errore si scopre è troppo tardi e si deve correre ai ripari con soluzioni pasticciate e grave danno alle attività didattiche. E’ normale amministrazione. Come è normale che un istituto che necessita di spazi sia costretto a suddividersi in più sedi tra loro distanti, anche quando l’istituto adiacente ha spazi inutilizzati.
E’ che per difficoltà che non si vuole superare i docenti debbano fare la spola anche più di due volte al giorno tra una sede e l’altra. L’Ente Provincia sembra proprio non avere o non saper utilizzare strumenti per assegnare razionalmente agli istituti scolastici i locali della comunità.
Se i fondi che le Province ricevono per esistere come enti fossero destinati invece alle scuole, alle strade ecc. avremmo più strade senza buche e avremmo edifici scolastici in regola con le norme della sicurezza, adeguati come spazi per la didattica e dotati di tutti gli strumenti e ausili didattici necessari.
Ma ite cherides,sos cadditteddos de istalla sun ismannittande.
Qualità e istruzione universitaria
Un insegnante non può non avere a cuore il futuro dei propri alunni. Da qui l’invito ai giovani a uscire dall’isola per gli studi universitari, per garantirsi una valida formazione e adeguati sviluppi occupazionali.
Le nostre università perdono molto in qualità per effetto di giochi di potere, clientelismo, nepotismo(si legga a tal proposito il bel libro: L’università truccata, sottotitoli: gli scandali del malcostume accademico/le ricette per rilanciare l’università, di Roberto Perotti, Einaudi).
Le nostre università non assicurano grandi opportunità di inserimento nel mondo del lavoro. In particolare le nostre facoltà scientifiche, che poi sono quelle che attualmente dovrebbero garantire più opportunità di lavoro (dovrebbero perché nel deserto industriale isolano niente è certo), soffrono di mali evidenti. Intanto, a parte circoscritte eccezioni di buona ricerca non sempre adeguatamente apprezzata, mi risulta che sia vigente la regola dello scambio di favori del tipo “io aggiungo il tuo nome alla mia ricerca se tu aggiungi il mio alla tua”. Per quanto attiene poi all’impatto della ricerca, ossia al peso internazionale della ricerca, che si può dedurre dal numero di citazioni presenti in ricerche dello stesso settore, le nostre facoltà scientifiche non si piazzano bene, a parte le solite eccellenze. Talvolta le poche citazioni non attraversano neppure le mura di una facoltà. Si tratta cioè di cattiva ricerca. Anche questo devono sapere i miei alunni per orientarsi nelle scelte future. Inoltre posso loro suggerire di consultare le graduatorie delle facoltà presenti in rete, ad esempio quella tratta dalla Relazione finale 2001-2003 del CIVR Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca e allegata in calce limitatamente alle due nostre Università (All. 2).
I nostri ragazzi non possono aspettare che le cose cambino - servirebbero perlomeno cinque anni - né tantomeno possono modificare gli equilibri consolidati che giocano contro il loro futuro. Occorre dunque che prendano subito atto che la situazione in Italia è quella che è, che nascere in Sardegna procura qualche problemino in più, che occorre battersi per strappare ogni possibile contributo finanziario, che occorre dare il massimo a scuola anche per convincere le famiglie della buona determinazione ad affermarsi e che è necessario uscire fuori dall’isola e dall’Italia. Studiare fuori, in Francia ad esempio, può costare meno che studiare a Milano.
L’isola non ha alcun interesse a privare i giovani di più valide opportunità di crescita intellettuale. Le sorti della Sardegna dipendono soprattutto dalle opportunità che i giovani non si lasceranno scappare.
Riassumendo
Il tema che sottende queste note è il futuro dei giovani che escono dalla scuola e, corrispondentemente, il futuro della nostra isola, che non potrà vedere aurore se non per opera dei nostri giovani.
Si criticano le recenti misure governative in un ottica di qualità dell’istruzione.
Si ribadisce che è necessario riorganizzare l’intero sistema formativo isolano nella prospettiva di un riscatto sociale del popolo sardo per inserire la Sardegna nel contesto europeo.
Si denuncia il fatto che la Regione non ha ancora predisposto alcun piano programmatico in vista del federalismo scolastico.
Si critica il ruolo inefficace delle Province auspicandone l’abolizione in modo da destinare più fondi all’edilizia scolastica e alle attrezzature necessarie per una buona istruzione.
Le note si concludono con un appello a favore della migrazione dei cervelli dall’isola in attesa di un cambio di rotta del nostro sistema universitario.
NOTE
(1) Il diritto allo sviluppo è un diritto inalienabile dell’uomo in virtù del quale ogni persona umana e tutti i popoli hanno diritto di partecipare e di contribuire ad uno sviluppo economico, sociale, culturale e politico, cui tutti i diritti dell’uomo e tutte le libertà fondamentali possano venire pienamente realizzati, e beneficiare di tale sviluppo. (Dalla DICHIARAZIONE SUL DIRITTO ALLO SVILUPPO, 4 DICEMBRE 1986, O.N.U.)
(2) Carlo Cattaneo, nel 1861 scriveva: “Il Parlamento ha una sola via da prendere in faccia ai grandi interessi regionali: ordinare ogni cosa perché si possa fare; comandare che si faccia; e lasciar fare. In quanto alla Sardegna,…lasciar la cura dei loro beni, dei loro ademprivii, dei loro paberili stazzi e degli altri aviti ministeri ai Sardi; farli responsabili delle loro proprie sorti, sicché non possano più lagnarsi se non di se stessi, né apprendere a odiare adesso l’Italia, come appresero, purtroppo, ad odiare il Piemonte.”.
(3) I veri nodi sono stati messi in evidenza nel Report di monitoraggio delle scuole del secondo ciclo di istruzione in Sardegna (progetto Campus, 2007) e resi pubblici dal prof. Marco Pitzalis, professore di Sociologia Generale presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Cagliari, ad esempio nell’intervento-denuncia pubblicato nel sito: www.inSardegna.eu e ripreso da La Nuova Sardegna del 29/1/08, sotto il titolo: Istruzione e politica regionale/ Tanti progetti, ma nessun risultato: la dispersione scolastica è senza freni.
Nelle conclusioni del Report si può leggere che sono stati raccolti dati sulle strutture, sul personale, sull’utenza, sulle risorse materiali e finanziarie delle scuole secondarie di II grado in Sardegna, in modo da poter fondare delle riflessioni in grado di informare e orientare le politiche dell’istruzione in Sardegna. Gli autori del Report hanno:
Emerge dunque un dato preoccupante: il 50% degli studenti è afflitto da qualche forma di insuccesso formativo.
Appare particolarmente importante l’osservazione che il tasso di diplomati nelle diverse zone dell’isola è correlato con la presenza o meno di un’offerta formativa secondaria di II grado e con la sua diversificazione. Dove è presente un’offerta di formazione diversificata si osservano tassi di diplomati in linea con i dati nazionali, in caso contrario il tasso di diplomati crolla a livelli particolarmente preoccupanti.
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(Cristian Ribichesu)
Gentile prof. Atzori, condivido tanto di quello da lei scritto e analizzato.
Anche io penso che una parte dei soldi dei finanziamenti regionali dovrebbero essere utilizzati in modo diverso rispetto ai laboratori pomeridiani (non tutti, per carità), magari impegnandoli, attraverso un'intesa Stato-regioni, per l'assunzione e la stabilizzazione di più insegnanti, evitando il disastro di classi con trenta alunni (a discapito degli insegnanti, dell'insegnamento e degli alunni, e conseguentemente di tutta la società).Indico una serie di link che rimandano ad alcuni articoli che ho scritto in merito ai problemi scolastici, sperando possano servire come contributo sull'argomento.
Cordialmente
Cristian Ribichesu
http://www.sardegnaeliberta.it/?p=1038
http://www.sardegnaeliberta.it/?p=157
http://www.sardegnaeliberta.it/?p=244
http://www.sardegnaeliberta.it/?p=1297
http://www.sardegnaeliberta.it/?p=835
http://www.italoeuropeo.it/index2.php?option=com_content&do_pdf=1&id=696
http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=8167
http://www.democraziaoggi.it/?p=273
(Piero Atzori)
Ti ringrazio Cristian Ribichesu per il tuo commento. Sai, anch'io condivido molte delle cose che vai pubblicando, ho visto, in diversi siti. Il tuo impegno gratuito per la scuola è ammirevole. Purtroppo pochi sembrano ascoltare. I nostri politici, ahinoi, non prendono neppure in considerazione le ricerche sociologiche che danno le dritte per una valida politica scolastica.
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