Il Tamburino Sardo


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Rubrica bassa cucina

Il Napoleone di Lu Fangazzu
(Giampiero Muroni)

Sarebbe bello che prima di votare la “Riforma delle circoscrizioni” sassaresi i nostri consiglieri leggessero “Il Napoleone di Notting Hill” di Chesterton, più famoso certo per i suoi “Racconti di padre Brown”, ma che proprio con quel romanzo (uno dei primi esempi del genere della fantapolitica) appare quasi profetico nel dipingere le degenerazioni della democrazia della fine del XX secolo.

Vi leggerebbero, oltre all'inquietante presagio della scelta del monarca tramite una lotteria nazionale, anche della divisione della capitale britannica in una serie di municipi rivali, sulla scorta di una ricostruzione fedele delle storiche identità di quartiere che, portata alle sue estreme conseguenze, dà luogo a una guerra civile combattuta con archi e balestre tra le contrade londinesi.

In modo analogo infatti, il disegno delle quattro circoscrizioni partorito dalla commissione consiliare presieduta da Paolo Scanu, disegna una divisione della città che, facendo salvo il numero massimo di parlamentini rionali possibili per legge, consegna alla Giunta (e al Consiglio poi) una progetto che tra le tante possibilità offerte alla fantasia riformatrice ne sposa la peggiore.

Come sarebbe infatti la città che uscirebbe fuori dalla proposta approvata?

Una circoscrizione comprenderebbe le borgate più “esterne” (Tottubella, Palmadula e L'Argentiera), riunite in un comprensorio periferico che avrebbe come “centro” quella più popolosa, di fatto più lontana per le altre dallo stesso centro cittadino, cui sarebbero con maggior forza tagliate fuori, rifiutate come un corpo estraneo da chi non riesce a intendere la distanza come opportunità, relegandole al ruolo di eterne figliastre.

Una seconda riunirebbe invece le popolose periferie esterne (Bancali, Li Punti, San Giovanni, Ottava, Caniga e La Landrigga), unificate dal proprio status “extramurario”, chiamate ora “cintura olivetata” e ora “villettopoli”, a seconda che l'estro del politico di turno volesse blandirne o ammonirne gli abitanti Agro o area d'espansione, in altri termini, paradiso o inferno, in base all'interesse elettorale del momento: insomma zona di caccia ai voti in periodi elettorali o di oblio totale negli anni successivi, tra una tornata di volantini e l'altra.

È però dentro la “città compatta” che la proposta Scano assume una fisionomia ancora più inquietante. La distinzione tra i quartieri cittadini non è stata realizzata “con riga e squadra”, come hanno tenuto a precisare i proponenti, ma mediante l'utilizzo di strumenti sociologici. Certo, e lo strumento sociologico più efficiente è quello economico. Ossia la divisione delle due circoscrizioni “interne” è stata fatta secondo il metro censuario: da una parte i quartieri popolari (Monte Rosello, Latte Dolce e Santa Maria di Pisa) e dall'altra tutti i restanti, che evidentemente poco avevano a che spartire coi primi.

Insomma anche nel “centro” c'è sempre qualcuno che fa da periferia: caso strano sono i quartieri più poveri; pazienza, se ne facciano una ragione.

E in questo progetto “a carciofo” (cioè in cui le divisioni sono realizzate in senso concentrico, mica in senso spregiativo, cosa avete pensato?), quale sarebbe il destino della megacircoscrizione urbana di oltre 60.000 abitanti – grande più o meno come L'Aquila?

Nella migliore delle ipotesi, quella cioè in cui il presidente di circoscrizione ed il sindaco sono della stessa parrocchia, il primo fungerebbe da prosindaco virtuale; farebbe il controcanto alle scelte cittadine di maggior peso, ne anticiperebbe alcune, ne plaudirebbe altre, sulla base della propria rappresentatività (superiore alla metà dell'intera cittadinanza) che lo renderebbe di volta in volta eminenza grigia o delfino in pectore, con buona pace dei vicesindaci o assessori “reali” pro tempore.

E però nell'infausta ipotesi che le casacche divergano (oppure che le diverse ambizioni siano concorrenti) che la riforma Scano assume valenze molto poco auspicabili per la città.

Vi immaginate cosa succederebbe se, per caso, il presidente della supercircoscrizione urbana non fosse d'accordo su un progetto sposato anima e corpo dal sindaco, vedi tu, su una questioncina come la chiusura al traffico del centro storico? Si avrebbe un conflitto di rappresentatività in cui a soccombere politicamente sarebbe, molto probabilmente, il soggetto competente per legge a decidere, ma che si vedrebbe contrapposto a chi, nei quartieri sui quali ricadrebbe la scelta, gode del rapporto più diretto con i cittadini. Bella situazione: complimenti all'ingegneria istituzionale che l'ha prefigurata!

E tutto questo, naturalmente, a prescindere da tutti i bei discorsi sulla democrazia partecipata cui i fautori della divisione della città in circoscrizioni ci hanno abituato in questi mesi. Mi spiegassero, per cortesia, quale sarebbe la maggiore facilità dei cittadini nel rapportarsi con un consiglio circoscrizionale che rappresenta 60.000 cittadini rispetto a quello che potrebbero avere con i consiglieri di Palazzo Ducale. Cos'è? Ai primi puoi dare del tu mentre a quelli devi dare del lei? Oppure li conosci perché ci hai giocato insieme per strada da bambini (a Carbonazzi con quelli di Cappuccini)? Fatemi il piacere.

In definitiva, a voler essere cortesi, la bozza uscita fuori dal lavorio indefesso della commissione Scano – che non ha avuto il tempo di audire le ragioni di chi in città ha raccolto in dieci giorni oltre mille firme favorevoli alla completa abolizione delle circoscrizioni – è una vera ciofeca.

Che, nel malaugurato caso fosse approvata dalla Giunta e poi dal Consiglio comunale, avrebbe come conseguenza quella di consegnare alla città l'immagine di un Sindaco che assumerebbe su di sé la statura di un riformatore epocale: un Napoleone, certo, ma di quelli che, parafrasando Chesterton, potrà essere ricordato come il “Napoleone di Lu Fangazzu”. E non è che sia il modo migliore di passare alla storia.




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