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Rubrica Storie di letti
Ia nazione che non fu – operazione verità
Salvatore Natoli Sciacca, Maria Rosaria De Stefano Natoli
Armenio editore
Euro 12
L’indipendentismo è un treno a vapore
(Paolo Buzzanca)
E’ difficile scrivere di un libro che fra verità vere, verità false e verità in grassetto o corsivo ti spiattella questa parola ben otto volte nel primo paragrafo.
Ancor più perché, alla fine, scopri che si raccontano storie risapute. E allora è meglio cominciare con qualcosa di positivo. Non c’è sangue che cola, non c’è gusto del macabro, ma un’esposizione semplice e lineare: per i tempi che corrono, virtù rare.
Gli autori vogliono dirci a chiare lettere che la storia del Risorgimento non è poi come la si racconta, che è più o meno la versione edulcorata dal regime militar-imperialista dei colonizzatori piemontesi, che per la Sicilia si è trattato solo di un bagno di sangue, di una repressione brutale del diritto all’identità nazionale che pur si era affermato fin dai tempi della rivolta angioina.
Vogliono dirci a ancora che di queste cose che loro raccontano, nei libri di scuola, non c’è traccia.
Come se la storiografia ufficiale su Cesare, su Nerone, su Costantino, o su Mussolini, tanto per dire, avesse raccontato la verità e gli studenti potessero leggere cose vere. Basti pensare che di un criminale incallito, di un massacratore dei propri familiari, quale fu Costantino, se ne è fatto un santo.
Ciò tuttavia nulla toglie a quel che Costantino, o Nerone, o Mussolini rappresentano. E ci dimostra che fra le verità possibili, che non son meno vere delle verità reali – se ancora nella nostra società c’è spazio per i simboli, ci son anche le verità create dagli storici di regime, senza le quali non sarebbe possibile percepire con immediatezza, per esempio, il livello delle persecuzioni subite dai cristiani in epoca imperiale.
Ma questo è un ragionamento che gli autori hanno diritto di rifiutare a priori e quindi è bene andare oltre.
Avete presente i libri di storia che circolano nei nostri licei? Ecco, sono arrivati ad una semplificazione così estrema che gli studenti son convinti di dover memorizzare dati fra loro correlati esclusivamente dal fatto di trovarsi nella stessa pagina o, al massimo, nello stesso capitolo.
La semplificazione è una brutta bestia, anche perché si accoppia all’ideologia, e sarebbe sempre bene evitarla. Nel libro in esame, invece, c’è, a mio avviso, una semplificazione all’incontrario in quanto atti scellerati di un regime dispotico sono assunti ad assioma della negazione di un Risorgimento ed il sistema di ignoranza diffusa che da sempre giustifica e governa le pubbliche commemorazioni – si veda a tal proposito la presenza di alti esponenti del Vaticano a Porta Pia, viene accantonato a favore di un progetto colonialista di manipolazione della storia.
L’operazione verità consisterebbe dunque nella necessità di negare che ci sia stato un Risorgimento, almeno nella forma in cui lo intendono molte persone che pure i misfatti della politica postunitaria, ed alcuni molto più gravi di quelli raccontati nel libro, conoscono bene.
Ed in questo gli autori sbagliano davvero a sentirsi in solitudine. Tanto per cominciare guardino nelle università: le cattedre di storia del Risorgimento sono in estinzione. A scuola il Risorgimento si studia in due settimane, a cavallo fra il quarto ed il quinto anno, con i professori che non sanno nulla della Repubblica romana ed ancor meno delle legge emergenziali di Crispi o della politica coloniale.
Uno studente che sappia di Santorre di Santarosa è un Tacito e se qualche altro non scrive Pisa Cane è sicuramente un italianista.
Su ciò che produce il mondo politico-ministeriale ritengo operazione filantropica il silenzio.
C’è il pericolo che si passi dalla semplificazione al nulla e che tutto si giostri sull’informazione effimera dei telegiornali, dove la storia la fanno i divi del calcio ed i geni, come dice Musil, non son più gli artisti e gli scienziati, ma i cavalli da corsa.
La preistoria, per molti giovani di questa generazione, rischia di cominciare il giorno antecedente alla loro data di nascita.
Rispolverare una serie di fatti, tutti veri nella loro brutalità, tutti ingiustificabili, può essere dunque operazione utile, anche se son fatti troppo risaputi, già digeriti dalla storiografia negli anni settanta del secolo scorso ed ancor prima illustrati, se non denunciati, in pagine di altissima letteratura, da Verga a Pirandello, per esempio.
Ciaula scopre la luna, I vecchi e i giovani, Rosso Malpelo, Mastro Don Gesualdo, Libertà, raccontano tutto.
Ma forse il progetto politico a cui mira il libro rende impossibili questi riferimenti. Così come costringe gli autori, enunciando l’idea di Nazione, a far ricorso agli scritti di E. Renan e ad evitare Manzoni (una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie di sangue, di cuor) il quale, essendo uomo del Risorgimento, non poteva che esprimere un’idea romantica, quindi falsa, della Nazione-Stato.
L’assunto politico, poi, rende ancor più impossibile un’analisi cruda della classe dirigente siciliana, della quale almeno uno degli autori, Salvatore Natoli, è stato illustre esponente. Ne deriva un giudizio romantico sulla rivoluzione del 1848, che, almeno in Sicilia, è stata rivoluzione senza progetto militare e senza progetto politico.
Dal revisionismo degli autori si salva a stento la figura di Garibaldi, la quale, necessariamente, non può prescindere da ciò che è stata nel sentire collettivo: un mito, un faro di libertà.
A dimostrazione, non evidente per gli autori, che di Risorgimento, almeno nelle coscienze illuminate, si è trattato. E di Risorgimento anche in Sicilia, dove è pur vero che i Savoia hanno fatto gran danno, ma dove la povertà, la miseria, l’arretratezza, il clericalismo, son stati sempre compagni fedeli delle classi popolari.
Ora, se con questo libro gli autori vogliono rivelare i segreti misfatti della storia d’Italia, non mi pare che lo facciano, perché ripropongono fatti ampiamente svelati. Se mirano a diffondere la conoscenza di questi fatti, hanno sbagliato formato, perché sarebbe stato opportuno rivolgersi al mondo della scuola con un testo adeguato – e non sarebbe stata una brutta idea.
Resta la convinzione che questo lavoro serva soltanto a sponsorizzare e promuovere una parte politica, che si tratti di una specie di Bignami ad uso degli indipendentisti. Convinzione supportata anche dalla struttura del discorso, semplice, chiaro, ma un tantino demagogico, finalizzato all’enunciazione di un progetto affascinante, che vede insieme l’indipendenza, o se volete il riconoscimento della Nazione Sicilia, e la Nazione multietnica Europa.
Sul secondo punto concordo almeno in parte con gli autori, ma dubito seriamente che i siciliani nutrano una qualche coscienza nazionale.
Quando Gavino Sale si presenta alle elezioni in Sardegna, senza apparato, senza mezzi di informazione, fa un tre per cento. Il partito Sardo d’azione, che ha il separatismo nello statuto, fa un tre virgola cinque. Poi c’è il gruppo di Bustiano Compostu e di Zampa Marras, Ci sono gli indipendentisti di A manca, che hanno fatto tanta galera ma non sono stati processati, ed il mio amico Massimo Nappi non capisce che il processo sarebbe una loro strepitosa vittoria e non quella dello Stato colonialista.
Non si va oltre. E questi successi-insuccessi degli indipendentisti dimostrano che le varie etnie minoritarie, in Italia, tutto cercano tranne l’indipendenza.
Il fatto è che l’idea di nazione è cosa vecchia e che nuove realtà politiche, come gli Stati Uniti d’Europa, possono costruirsi soltanto a partire dai diritti della persona, che non escludono la nazione, o la famiglia, però sono anni luce più avanti.
Ma gli autori, seppure affascinati dall’idea d’Europa, viaggiano ancora sui treni a vapore.
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Grazie per esservi occupati del mio libro. Mi sarebbe piaciuto che qualcuno lo avesse firmato.
Distinti saluti.
Maria Rosaria De Stefano Natoli
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Il Tamburino Sardo