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Rubrica bassa cucina
Perchè Eluana?
(Giampiero Muroni)
C'è qualcosa di diverso nella vicenda di Eluana Englaro rispetto a quelle analoghe e precedenti di Piergiorgio Welby e di Giovanni Nuvoli.
In tutti e tre i casi si è iniziato parlando di eutanasia – invocandola – per poi derubricare quelle richieste a ciò che in realtà erano, ossia a mere interruzioni di terapie non più volute e incapaci di guarire.
Certo, nei casi di Welby e Nuvoli erano i diretti interessati, costretti allo stadio terminale della loro malattia ma ancora in pieno possesso delle loro facoltà mentali, a richiedere ai medici di consentire loro un passaggio alla morte indolore, mentre i lunghi anni del calvario giudiziario di Eluana e Beppino Englaro sono serviti a definire i confini della volontà della figlia all'interno delle parole consegnate al padre. Ma al di là della differenza tra una volontà manifestata ed una ricostruita in un processo, anche Eluana ha – infine – dichiarato in via mediata di voler morire, di non volere più proseguire un'esistenza vegetativa che non l'avrebbe riconsegnata mai più alla sua coscienza, ai suoi affetti, a tutto quello che chiamiamo vita.
Non è stato però il dubbio sulla reale volontà di Eluana a scatenare la canea che abbiamo visto a reti unificate sulla sua storia e il dolore della sua famiglia, non è stata la cautela nell'interpretazione dell'autonomia individuale a nutrire la violenza della politica, dello Stato, sulla libertà del singolo, ma un elemento ignorato che pone l'intera vicenda sotto una luce ben diversa e, se possibile, ancora più inquietante: Eluana, al contrario di Welby e Nuvoli, era una donna.
Il sesso di Eluana è entrato nella polemica degli ultimi giorni attraverso le parole volgari e violente del premier, quando ha paventato la possibilità di una sua maternità, per giustificare l'accanimento che la voleva trattenere attaccata al suo sondino – graziandoci (per pudore?) della descrizione delle modalità del possibile concepimento.
Ma il suo essere donna – giovane e bella, per di più, nelle foto di repertorio che la ritraevano nei suoi ultimi giorni di vita autonoma – è stato un carattere che ha attraversato, sotteso, tutte le parole che su di lei sono state dette, da politici e giornalisti, e dai fedeli in chissà quale dio confuso che la chiamavano a gran voce, a svegliarla da un sonno che, per loro, era forse il frutto di una fede non sufficientemente forte.
E in quanto donna Eluana era ancor più priva del diritto di invocare, per voce del padre, la fine di quel dolore privato, privatissimo che era diventata la sua vita. Perché una donna ha minori diritti di un uomo sul proprio corpo. Perché il corpo di una donna è un bene sociale, sottratto alla volontà di chi lo possiede e affidato all'intera società – ossia agli uomini – che hanno il dovere di custodirlo e proteggerlo e conservarlo, per il fine cui è destinato: il piacere, la maternità, la cura.
La donna Eluana aveva minor titolo rispetto agli uomini Piergiorgio e Giovanni sul destino del proprio corpo, minor voce, minor potere, minor diritto.
Come ieri sui temi dell'aborto o della fecondazione assistita, oggi la vicenda Englaro ci sbatte in faccia una verità scomoda e rimossa, anche da chi fa politica a sinistra: ossia che il corpo della donna è un campo di battaglia politica in pieno svolgimento, da sempre, e che una donna è un individuo particolare, per il quale il proprio corpo non è la base dei propri diritti ma l'obiettivo di una lotta di liberazione da un'oppressione antica.
I contorni della “battaglia per la vita” – così la chiamano i cultori della sopravvivenza, i materialisti teocratici che infestano politica e giornali e tv – si manifestano per ciò che essa è: una guerra all'ultimo sangue per il possesso dei corpi, del corpo, di quello pulsante e terreno della donna, dell'ultima frontiera del potere.
Eluana doveva sopravvivere a se stessa perché vivesse il senso stesso della subordinazione dell'individuo allo Stato, della libertà al potere, dell'uno al tutto. La sua morte individuale era insopportabile come è insopportabile ogni atto di autodeterminazione di fronte alla violenza del controllo sulle vite.
Pensate che la sua sia stata solo una vicenda personale e intima, un frammento singolo e tragico senza conseguenze nella vita di ciascuno di noi? Pensate che sia stata una pagina irripetibile di cronaca, tra le tante che i media ci offrono quotidianamente? Che presto ce ne dimenticheremo? Oppure pensate davvero che i diritti conquistati sulla scelta di diventare o no madri, di gestire autonomamente la propria sessualità siano vittorie acquisite e intangibili? Che nessuno oserà mettere in discussione?
Cari uomini e – soprattutto – care donne italiane, benvenuti nella politica del XXI secolo.
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