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Rubrica Finestre
Traccia per un per un breve percorso didattico
(in preparazione dell’incontro sullo storico delle istituzioni Antonio Marongiu)
Cagliari, 27 marzo 2009
(Federico Francioni)
Si può pensare ad un breve percorso didattico, per una classe quinta di istituto superiore, che prenda l’avvio da quanto gli alunni dovrebbero aver acquisito in base alla programmazione di storia degli anni precedenti. Si tratta poi di proporre un confronto fra Parlamenti di Antico Regime e Parlamenti del Novecento, alla luce della crisi delle istituzioni liberali, dell’avvento dei regimi totalitari, della sconfitta di questi ultimi, dell’importanza che assumono oggi gli organismi rappresentativi, contro le ricorrenti tentazioni, se non proprio totalitarie, certo autoritarie, magari in forme nuove ed inedite rispetto al passato.
Il punto di partenza può essere costituito da una, due lezioni frontali, nelle quali si fa un semplice riferimento agli Stati generali di Francia ed all’esperienza della frattura del 1789 francese, forse quella più conosciuta dagli studenti, più agevole, quindi, da proporre. La struttura tricuriale, tricamerale, di questo Parlamento di Ancien Régime si presta abbastanza bene ad alcune facili osservazioni su che cosa era un’assemblea composta da tre camere. In esse sedevano rispettivamente gli ecclesiastici, i nobili ed i rappresentanti del cosiddetto Terzo Stato, cioè della borghesia cittadina. Nella seduta inaugurale, essa sfilava sempre per ultima, dopo i rappresentanti del clero, dell’aristocrazia, della signoria terriera.
Bisogna precisare ovviamente che per Stato si intende qui ceto, gruppo, ordine privilegiato, non di certo Stato come complessiva macchina amministrativa, burocratica, coercitiva, ecc.
Attenzione! Un primo punto da chiarire, ciò che possiamo fare grazie al magistero di Antonio Marongiu, un nodo che bisogna evidenziare subito è il seguente: la differenza fra i Parlamenti di Antico Regime e quelli liberali, democratici e costituzionali dell’Ottocento e del Novecento non è data certo - nel secondo caso - dall’introduzione di meccanismi elettivi. Si badi bene, infatti: i meccanismi elettivi sono presenti nelle convocazioni e nelle riunioni degli Stati generali di Francia, sino alla loro fine, dopo la frattura dell’Ottantanove, quando vengono sostituiti dall’Assemblea nazionale costituente.
Dal 1484, nel caso francese, tende a scomparire il diritto alla partecipazione personale per nobili e vescovi. Per tutti diventerà valido il principio di una presenza negli Stati generali con una rappresentanza da realizzare tramite una consultazione nazionale. I rappresentanti del Terzo Stato erano eletti attraverso due gradi: il primo avveniva in assemblee di parrocchie, di città e di prevostura; il secondo nei capoluoghi di baliaggio, dove si riunivano i delegati precedentemente eletti, onde procedere alla designazione definitiva dei deputati. Da sottolineare che il suffragio era pressoché universale: ogni capofamiglia aveva diritto al voto, comprese - si badi bene - le donne vedove o nubili che vivevano indipendenti. Il meccanismo delle votazioni presente in Francia rappresenta un precedente significativo ed alla lunga farà sentire il suo peso approssimandosi il fatale Ottantanove.
Questo va tenuto presente perché a lungo si è guardato al Parlamento inglese come a quello più prestigioso, in quanto, attraverso le rivoluzioni del 1649 e del 1688-89, è andato trasformandosi in organismo costituzionale più vicino alle esperienze democratico-costituzionali dell’Ottocento e del Novecento. Bene, Marongiu ci ha aiutato a capire che il Parlamento inglese è certo importante, ma è ben lungi dall’esaurire una vasta gamma di esperienze istituzionali di antico regime, uno spettro assai ricco che comprende evidentemente gli organismi rappresentativi della penisola iberica. Anzi, sarà subito il caso di ricordare agli alunni che il primo dei Parlamenti o Corti europee nasce nel Regno iberico di Leon: la data è 1118 e bisogna inchiodarsela bene nella testa anche se, certo, non abbiamo, come docenti di storia, il feticcio delle date.
Mentre gli Stati generali di Francia avevano struttura tricuriale, il Parlamento inglese è bicuriale, in quanto riunisce in una camera unica nobili ed aristocratici con esponenti del clero: abbiamo dunque la House of Lords e la House of Commons.
Nel Seicento inglese, durante il regno di Carlo II - cioè dopo la fine del Commonwealth di cui era diventato Lord Protector Oliver Cromwell - la Camera dei Comuni aveva oltre 500 deputati: 204 boroughs (borghi) eleggevano ciascuno 2 deputati (408 complessivamente); Londra aveva diritto a 4 rappresentanti; 5 erano inviati da altri boroughs; 40 contee inglesi potevano contare su 2 rappresentanti per ciascuna (80 in tutto); 4 erano i membri espressi da Cambridge e Oxford (due per ogni università); tra 12 contee ed altrettanti borghi del Galles erano distribuiti altri 24 commons. La Scozia dal suo canto aveva un suo proprio istituto parlamentare.
Di sicuro bisogna guardarsi bene - nei confronti del disegno volto a mitizzare l’esperienza inglese - dal rischio opposto di sminuirlo. Se la House of Commons non ha avuto nelle due rivoluzioni il ruolo centralissimo, preponderante, che gli hanno voluto attribuire gli storici liberali di vecchio stampo, non si può negare che comunque il ruolo del Parlamento è stato di rilievo nell’imporre il Bill of Rights che stabiliva i principi base del nuovo ordinamento: al re il potere esecutivo, alle due camere quello legislativo.
Si diceva prima delle esperienze iberiche: è doveroso ricordare le Corti o Parlamenti di Castiglia, Navarra, Leon, Aragona, Catalogna e Valencia.
Ma la geopolitica dell’Europa si presenta come articolata costellazione di esperienze di istituzioni rappresentative di Antico Regime: se per davvero vogliamo leggere, interpretare e comprendere le vicende che hanno determinato la grande tradizione civile, politica e democratica della Svezia sarà opportuno, fra l’altro, tenere presente che nel paese nordico prese corpo il Riksdag, istituto parlamentare formato da ben quattro camere: per fare solo un esempio, alle riunioni del 1662, di fronte al re Gustavo, intervennero i nobili al di sopra dei 15 anni, vescovi ed inviati dalle parrocchie e dai capitoli delle cattedrali, due borghesi per ogni città ed addirittura i rappresentanti dei contadini. Il Riksdag visse nel Settecento la sua stagione di più alta e riconosciuta autorevolezza.
Veniamo ora alla dimensione sarda, nell’ambito della quale la prima riunione delle Corti o Stamenti avviene nel 1355, durante il Regno del sovrano catalano-aragonese Pietro IV il Cerimonioso: nel caso sardo abbiamo a che fare con un Parlamento tricuriale, come quello francese. L’istituto isolano prendeva il nome di Stamenti, dal catalano Estaments che indica l’azione di stare, di assidersi per partecipare ad una congrega, incontro o sessione. Gli Stamenti erano tre:
1) Stamento ecclesiastico, formato da arcivescovi, vescovi, abati mitrati, superiori degli ordini religiosi, procuratori o rappresentanti dei capitoli delle varie diocesi, coloro che rappresentavano i beneficiati delle cattedrali;
2) Stamento militare, comprendente feudatari, nobili (che per essere abilitati dovevano esibire apposito diploma), cavalieri (anche questi dovevano dimostrare di possedere il titolo). Per brevità diremo che il titolo di cavalierato si differenziava da quello di nobiltà, in quanto non dava diritto a chi lo portava di mettere il “don” prima del proprio nome;
3) Stamento reale, che riuniva i procuratori o sindaci o rappresentanti delle sette città sottoposte a giurisdizione regia (dunque non feudale: di qui il nome di questa camera): Oristano, Iglesias, Bosa, Alghero, Sassari e Castelsardo. Cagliari, capitale del Regno, Caput Sardiniae, era rappresentata dal primo consigliere e dal giurato in capo della municipalità. Come ha messo in risalto Marongiu, l’attività parlamentare dei rappresentanti di Cagliari era coadiuvata dalla trezena de Cort (in catalano=tredicina di Corte).
A conclusione dei lavori - che, a partire dal 1572 e fino al 1698 si tennero con una certa regolarità ogni dieci anni - si approvava il servicio, il donativo, cioè la somma offerta dalle tre camere al re. Solo in parte tale somma, a totale carico dei sudditi, veniva spesa in Sardegna. Quelle proposte che ricevevano l’approvazione del viceré ed erano poi sanzionate dal sovrano diventavano Capitoli di Corte, assumevano forza di legge irrevocabile. Il viceré si impegnava solennemente a rispettarle, anche a nome dei suoi successori.
I tre Stamenti si riunivano quasi sempre separatamente. Le sedute comuni erano rare: per esempio nel solium, cioè nel soglio di apertura e di chiusura, che si teneva nella cattedrale di Cagliari. Allora le tre camere prendevano il nome di Bracci. A fianco degli Stamenti operavano le commissioni parlamentari:
a) degli abilitatori, incaricati di verificare i titoli, le procure e di procedere all’admitatur. Anche nel caso del Parlamento sardo, le donne dovevano essere sostituite. I minori potevano essere abilitati, ma senza diritto di voto.
b) dei trattatori, formata da rappresentanti del regio governo e dei tre Stamenti che dovevano accordarsi sull’offerta del Parlamento alla Corona, sull’entità del donativo.
c) dei giudici dei greuges (=gravami): greuge significa aggravio, abuso dell’amministrazione regia e, allo stesso tempo, riparazione dell’abuso stesso.
Una volta fatti gli opportuni chiarimenti sulla struttura del Parlamento, si può procedere con un questionario sul testo che ci è stato inviato dalla professoressa Maria Sofia Corciulo. In quel testo si schiarisce in primo luogo che uno dei meriti di Marongiu consiste nell’aver chiarito che bisogna guardarsi da due tesi - entrambe sbagliate - quando si affronta la storia dei Parlamenti: la prima è quella di coloro che vedono piena continuità fra istituti di Antico Regime e quelli attuali; la seconda è quella che vede la totale discontinuità. Bisogna guardarsi da coloro che hanno mitizzato questi organismi rappresentativi e, allo stesso tempo, da coloro che li vedono come retaggi o ferrivecchi di un passato ormai tramontato.
Marongiu ha dimostrato, col supporto di un vasto materiale archivisitico, che gli Stamenti, nei contesti storici in cui operarono e con le norme che avevano a disposizione, riuscirono ad incidere sulla concreta situazione sarda e, sempre in relazione ai tempi, svolsero un ruolo di effettiva rappresentatività della società isolana.
Dopo la partecipazione alla iniziativa di Cagliari, i punti fondamentali, i nodi emersi dalle relazioni e dall’eventuale discussione potranno essere ripresi e sviluppati di nuovo nelle classi per concludere l’itinerario didattico.
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