Il Tamburino Sardo


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Sardi a Salò

Rubrica Storie di letti

Diecimila sardi a Salò, un libro rompe il tabù
Lo studioso Angelo Abis ricostruisce una pagina di storia sinora ignorata.

(Carlo Figari) da «L’Unione Sarda», 27 maggio 2009


Furono diecimila i sardi che aderirono alla Repubblica di Salò (Rsi). Un numero consistente e ben superiore ai sardi che combatterono nella Resistenza. In gran parte militari, di quei 60-70 mila che all’indomani dell’8 settembre si ritrovarono di fronte alla drammatica scelta: aderire alla Rsi o finire nei lager nazisti. Molti erano sbandati sui vari fronti di guerra, soprattutto nei Balcani, o nella penisola. Chi non veniva subito catturato dai tedeschi doveva decidere se darsi alla macchia tentando di unirsi ai partigiani oppure far parte del nuovo esercito fascista. Numerosi arrivarono in qualche modo a Civitavecchia per cercare di rientrare in Sardegna dove i tedeschi si stavano ritirando senza combattere, ma non trovarono possibilità di imbarcarsi. Oltre ai militari si conta qualche migliaio di civili al Nord impiegati nell’amministrazione pubblica e che costretti o per propria decisione si arruolarono nella repubblica sociale. «Non vi è dubbio che da un punto di vista quantitativo la partecipazione dei sardi al fascismo repubblicano fu rilevante. Ma ciò che desta sorpresa è la presenza qualitativa: a scegliere furono il più grande musicista sardo del Novecento, Ennio Porrino, e il maggiore pittore Giuseppe Biasi, morto tragicamente. E poi intellettuali, giornalisti, sindacalisti e militari di prestigio quali il generale Giuseppe Solinas. Comandante della divisione  Granatieri di Sardegna dopo l’armistizio Solinas non solo si defila, ma organizza la difesa di Roma contro i tedeschi. Dopo la fuga del re decide di stare con ciò che resta delle istituzioni e va con la Rsi». A raccontare una pagina sinora inedita o volutamente ignorata dalla storiografia contemporanea è il ricercatore cagliaritano Angelo Abis nel libro L’ultima frontiera dell’onore, i sardi a Salò (edizioni doraMarkus, pagine 181, euro 15). Appena uscito è stato presentato a Sassari e Cagliari dagli storici Aldo Borghesi (Istituto regionale per la Resistenza) e Giuseppe Parlato, dell’università di Roma. Un documentato volume che si propone come il primo studio su un argomento scottante e sino a ieri quasi tabù.

Revisionismo. Oggi che diversi storici (anche non accademici) e autorevoli giornalisti come Giampaolo Pansa stanno rivisitando la storia della Resistenza liberi dagli schematismi ideologici del passato, si può parlare con distacco critico di quei sardi “dimenticati” o “bollati” perché repubblichini. Angelo Abis ha cominciato a coprire quel “buco nero” di oltre mezzo secolo di studi. Il suo lavoro non è un libro di storia ma di di storie di uomini. Raccoglie fatti di persone, legate  - come emerge dalle letture delle singole biografie – non tanto dall’ideologia quanto dall’essere sardi. Così si ritrovano armati l’uno di fronte all’altro uomini che riescono a parlarsi e a capirsi per la loro sardità, un fattore che va oltre schieramento.
Abis ha ricostruito le biografie di politici quali il prefetto Francesco Maria Barracu, che fu fucilato e poi appeso a Piazzale Loreto insieme a Mussolini, e il giornalista – scrittore Edgardo Sulis di Villanovatulo che a Salò divenne responsabile della propaganda. Numerosi i militari: i cagliaritani generale Enrico Adami Rossi, il capitano Guido Alimonda e il tenente Achille Manso, il tenente di Sant’Antioco Giovanni Biggio, il colonnello dorgalese Bartolomeo Fronteddu eroe della prima guerra. E c’è anche una donna, la nuorese Pasca Piredda. Imparentata con Grazia Deledda, fa parte di una famiglia sardista e antifascista: il che –racconta Abis- non le impedisce di intraprendere un percorso che la porta a diventare dirigente femminile del Guf (la gioventù universitaria fascista). Attraverso varie vicissitudini, degne di un romanzo, Pasca Piredda si arruola nella famosa X Mas comandata dal principe Junio Valerio Borghese che la incarica dell’ufficio stampa. Processata nel dopoguerra e assolta, è morta proprio quest’anno a Roma. Angelo Abis ripercorre la storia del battaglione tutto sardo denominato “G. M. Angioy” e costituito, fatto singolare, dal cappellano padre Luciano Usai che andò a prendersi i volontari uno a uno nelle carceri e nelle caserme del Lazio.
Due militari del battaglione, il celebre tenore Gavino Deluna (detto l’usignolo di Padria) e il sergente dei carabinieri Pasquale Cocco, furono arrestati dai tedeschi e fucilati alla Fosse Ardeatine.

500 nomi. «In mancanza di documenti la mia ricerca – spiega lo studioso – si è sviluppata soprattutto sulla raccolta di fonti orali, di notizie apprese dalla viva voce di familiari e testimoni». Nel libro figura l’elenco di 500 nomi di “sconosciuti” che si arruolarono nella Rsi con indicato il destino di ciascuno: uccisi in combattimento o fucilati, morti in agguati o incidenti, processati e condannati, finiti in carcere oppure deceduti nel dopoguerra in seguito a malattie e sevizie.
Cinquecento sui diecimila stimati da Abis: «Questa cifra –afferma- è il risultato di una interpolazione statistica che parte da alcuni dati certi: sappiamo che i sardi catturati dai tedeschi furono almeno 20 mila ai quali si aggiungono altri 40-50 mila sbandati nei territori occupati dai nazisti. Confrontandoli con i numeri generali accettati dagli storici si arriva a quel dato». Un capitolo, questo, che non mancherà di far discutere. A rivelare l’originalità del lavoro di Abis e l’importanza del suo libro nell’attuale panorama storico è Giuseppe Parlato, allievo di Renzo De Felice: «Sino agli anni Novanta la storiografia sul fascismo si concentra sui fatti nazionali, perché visto come un fenomeno centrale. Invece ci sono declinazioni particolari e locali molto differenti. Una cosa è il sardofascismo, autonomista, nato dall’esperienza della trincea della prima guerra e dalla forte identità regionale, altri sono i fascismi che si sviluppano in Toscana, a Roma o a Milano. Oggi con lo studio di Abis e con altri che stanno venendo fuori riguardo alla repubblica di Salò si ribalta la storiografia tradizionale che inizia sempre da una storia generale. Qui succede il contrario, partiamo dalle storie locali per arrivare domani a poter ricostruire una storia della Rsi senza preconcetti»
De Felice. Il docente romano ricorda che De Felice è scomparso nel 1996 mentre si accingeva a scrivere l’ultimo volume della sua monumentale opera su Mussolini, proprio quello che avrebbe riguardato Salò.«Lui aveva tutto nella sua mente, non ci ha lasciato documenti e tracce», sottolinea Parlato: «A sostenere che si trattò di una guerra civile per primo è stato Claudio Pavone nel 1992: sino ad allora lo diceva solo Giorgio Pisanò che essendo un ex repubblichino non veniva neppure considerato. Se i fascisti erano incivili, si ironizzava, come si poteva parlare di guerra civile?». Secondo Parlato tre furono le ragioni che spinsero i sardi ad arruolarsi nella Rsi: «L’onore, soprattutto fra i militari che nella confusione generale non vollero cambiare parte. In particolari tra i sardi era alto il senso dello  Stato. Per i vecchi fascisti, quelli della prima ora, della marcia su Roma, degli squadristi, del fascismo sardista e antiborghese, la Rsi rappresentò una rivincita su chi aveva portato allo snaturamento e allo sfascio del regime. Infine – conclude Parlato – i giovani appartenenti al Guf, gli unici ad avere un progetto politico, che credevano nei tedeschi e nell’Europa».

I sardi. La scelta dei sardi fu caratterizzata da altri due elementi: l’autonomismo e la componente sociale antiborghese, come testimoniano i numerosi sindacalisti e operai che aderirono alla Rsi. Il Libro di Abis ha il merito di aprire una strada e un dibattito per arrivare – come dice Parlato – a scrivere una storia condivisa. «Dare voce a chi è stata negata», sostiene l’editore sassarese Paolo Buzzanca, ex consigliere regionale ed esponente del partito radicale. Che l’editore sia dichiaratamente di sinistra, ma altrettanto “libero” da vincoli di partito, è un fatto significativo. Forse ora anche le università sarde dovranno cominciare a rompere tabù ormai superati dalla cronaca.


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