Il Tamburino Sardo


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sindacati e laicità

Rubrica bassa cucina

Sindacati e laicità
(Giampiero Muroni)

Non sempre la Provvidenza assiste con tempismo chi le si affida; è quindi assai pregevole la rapidità con cui i vescovi sardi hanno risposto ai sindacati chimici che pregavano per un intervento in favore dei posti di lavoro a rischio a Porto Torres.

Non da meno del re savoiardo di due secoli fa, i pastori sardi (d'anime, non di pecore) non sono rimasti sordi alle grida di dolore giunte alle loro orecchie e hanno chiesto all'Eni di ripensare la propria strategia aziendale, evidentemente non conforme ai disegni del Grande Imprenditore.

È possibile che i vertici parastatali della chimica italiana tengano a perpetuare il proprio benessere anche nella prossima vita e rispondano positivamente alla richiesta dei vescovi, così come è sperabile che la situazione di migliaia di famiglie trovi un barlume di speranza nel futuro; è comunque certo che, alla sospirata firma di un eventuale accordo con l'Eni, le campane suoneranno chiamando a raccolta gli operai a ringraziare Colui che lo ha favorito.

Se questa è la cronaca – presente o futura prossima auspicata – qualche glossa d'accatto sulle novità della strategia sindacale sarda forse sono legittime. E si potrebbe iniziare dicendo, molto sommessamente, che la scelta di invocare l'aiuto della Chiesa in una vertenza di lavoro (pur se molto complessa e di grande impatto sociale) dimostra la scarsa considerazione di cui il tema della laicità gode da parte del Sindacato e di tanta Sinistra.

Dubito fortemente che gli autori della “prece” sindacale siano convinti di meritare l'aiuto divino per i meriti acquisiti; più probabilmente riconoscono alla Chiesa il ruolo di potente lobby politica e ne hanno richiesto apertamente l'appoggio. La massa di voti, l'influenza sui media, l'entità del potere economico che essa può spostare hanno un peso consistente che nessun Governo può sottovalutare, tanto meno l'attuale che col Vaticano ha aperto una linea di credito di notevole valore reciproco.

E con un attore politico così potente, avranno pensato gli strateghi laburisti, si tratta sempre, li si cerca e ci si accorda, perché ogni alleanza è utile alla bisogna, specie quando la bisogna è grande e il pragmatismo suggerisce di evitare chiusure ideologiche.

Peccato che la Chiesa non sia (ancora) in Italia – al contrario che in Iran – attore politico istituzionale, ma solo un'agenzia sociale che muove i propri favori in ragione dei propri interessi. Peccato che esista (ancora) una Carta costituzionale che distingue, a gran fatica, gli ambiti civile e religioso e non assegna quindi a nessuna Curia il compito di tutelare gli interessi economici dei salariati, in aggiunta a quello già gravoso di salvare le loro anime dai fuochi dell'inferno.

Se non lo sanno – i nostri “Di Vittorio” dico - sarà il caso di dirglielo, sommessamente, certo, ma anche molto chiaramente. Perché se questa è la carica di laicità che il Sindacato esprime, allora le conseguenze di questa nuova geometria politica potrebbero essere dirompenti.

Perché non immaginare l'intervento di preti e cardinali (ciascuno nei propri ambiti territoriali di competenza canonica) in veste di mediatori durante le trattative per i rinnovi contrattuali? Perché non chiedere l'apertura dei tavoli nazionali a membri della CEI a fianco dei Sindacati confederali e della Confindustria? Perché infine non avvalorare i protocolli d'intesa più delicati con una bolla di gradimento papale? A voler seguire la strada tracciata dagli acuti rappresentanti dei lavoratori gli scenari che si aprono sono almeno inquietanti.

E sempre molto, molto sommessamente, sarà consentito dire che la richiesta di intervento alla Chiesa è frutto di una sconfinata povertà culturale, che accomuna molta parte della Sinistra, quella convinta ancora che il colore del gatto sia meno importante della cattura del topo o che, più togliattianamente, il fine da raggiungere giustifichi le alleanze col diavolo – o con l'acquasanta, nel caso in questione?

Potremmo suggerire che, parlando di laicità, il problema si pone in maniera diversa, perché non di tattica politica quotidiana si tratta, ma di una questione di regole del gioco: in democrazia i rapporti si sviluppano tra soggetti paritari (tutti eletti dal popolo, tutti soggetti alle stesse leggi, tutti con gli stessi doveri); richiamare l'intervento della Chiesa è una bestialità al pari di quella di chi si appelli all'aiuto dell'Esercito o della Massoneria. Il vero problema non sta nel fatto che i vescovi intervengano in questioni che non sono loro proprie, ma che esistono dirigenti sindacali così estranei ai principi fondamentali democratici che nemmeno si accorgono della portata delle proprie parole. Il problema, per dirla alla grossa, non è di ingerenza, ma di ignoranza.

Ora, posto che la prossima volta che sentirò uno di questi sindacalisti parteggiare per i giovani iraniani che protestano contro i loro capi religiosi mi sentirò in diritto di mandarlo a quel paese, la domanda da porsi è anche un'altra.

Alla vigilia del congresso del PD nel quale si confronteranno varie linee politiche e in cui il tema della laicità delle istituzioni sarà posto – finalmente – con la dignità che gli spetta dalla candidatura di Ignazio Marino, vorrei sapere dai candidati alla segreteria regionale cosa pensino della strategia sindacale inaugurata dalla categoria dei Chimici, se siano consapevoli delle conseguenze che comporta e se intendano distinguere la propria posizione da quella del Sindacato.

Dottor Lai, onorevole Barracciu, è possibile fare entrare questa bazzecola nel dibattito congressuale regionale? È possibile sapere se due “giovani” dirigenti pari vostro intendano dare un senso concreto ai proclami di laicità che andrete a inserire nei vostri programmi e nei discorsi infiammati che proporrete alle platee composte anche da quei compagni sindacalisti?
O dobbiamo pensare che Porto Torres valga una messa?


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