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Rubrica bassa cucina
La chimica del Sindacato
(Giampiero Muroni) per gentile concessione di Sardegna Ventirighe
Tra le sue qualità, in genere, non si riconosce al Sindacato – e alla CGIL in particolare – quella di essere un soggetto particolarmente innovativo. Se ne segnalano spesso la lentezza nel cogliere i mutamenti sociali, la farraginosità dei meccanismi, il conservatorismo spossante delle decisioni.
Tanto più va segnalata quindi la presa di posizione del segretario confederale sassarese Rudas che, nei giorni scorsi, ha “osato” infrangere la legge granitica che vuole i sindacalisti sempre alla difesa dei sacri “posti di lavoro”, prima ancora che dei lavoratori, con tanti saluti al senso di realtà o della ragionevolezza che dovrebbe guidare chi ricopra ruoli di responsabilità in momenti difficili.
Cos’ha detto Rudas? Niente di più di ciò che tutti sanno, ma che pochi hanno il coraggio di affermare in pubblico: ossia che la chimica sarda è stracotta, che mantenerla in piedi non vale il costo della sua manutenzione e che gli operai che oggi vi lavorano dovrebbero essere accompagnati in una riconversione che valga a sostenere il loro reddito e le loro famiglie, verso un futuro occupazionale compatibile con gli sviluppi del mercato.
Frasi ben poco stravaganti, insomma, sottoscrivibili da chiunque sia appena dotato di buon senso e non usi fette di salame nella propria montatura. Frasi a buon diritto ascrivibili a una politica orientata alla difesa dei lavoratori, per di più, che mettono in primo piano gli interessi di migliaia di operai che rivendicano il proprio diritto ad un ruolo sociale che non sia quello di assistiti.
Tutti ad applaudire il segretario CGIL quindi? Manco per sogno. Le prime voci di dissenso si sono levate proprio dal suo sindacato, e dalla categoria “di competenza”, quella dei chimici, il cui segretario Delogu ha risposto sulle stesse colonne del giornale locale dove Rudas aveva lanciato la sua proposta, per bocciarla senza remissione, trascinando nella requisitoria lo stesso segretario accusato di parlare a titolo personale – quasi per dare aria alla bocca, in pratica.
In questa spaccatura che – a voler bene alla CGIL, ma molto bene – si può chiamare “dialettica interna”, quale dovrebbe essere il ruolo dei rappresentanti politici locali?
Facciamo due ipotesi: nella prima i presidenti della Provincia e della Regione, dimenticate in lavanderia le rispettive “magliette” di squadra, insieme ai sindaci del territorio e ai rappresentanti di imprese e lavoratori, avanzano tutti insieme una proposta al Governo e dicono di rinunciare a qualunque accanimento terapeutico a favore della chimica pur di sperimentare un progetto di bonifica e di riqualificazione del territorio. Via tutte le ciminiere, insomma, e in cambio una sessantina di chilometri di spiaggia da riconsegnare alla loro vocazione turistica – con dietro un progetto che indirizzi (e alloggi) migliaia di turisti a poche centinaia di metri dal mare. Un progetto che valga a garantire un reddito lavorato agli attuali operai e una concreta speranza ai propri figli.
La seconda ipotesi vede invece sindaci e amministratori a vari livelli che percorrono in poderose “marce per il lavoro” le strade delle proprie città, la fascia tricolore bene in vista e tanti fischietti dietro (e i tamburi, certo, e le bandiere e gli striscioni, chi se li dimentica). Tutti a rivendicare un “futuro industriale per l'Isola”, una “prospettiva di lavoro per le nuove generazioni”, con la fascia a tracolla e i fischietti e i tamburi e le bandiere. Che se non basta una marcia se ne può fare sempre un'altra e poi, magari, ci si incatena davvero ai cancelli della fabbrica, che fa tanto “dalla parte dei più deboli”.
Con buona pace del segretario Rudas e – soprattutto – delle migliaia di famiglie di operai cui si farà credere di lottare per loro, volete scommettere su quale sarà l'ipotesi che si realizzerà?
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