Il Tamburino Sardo


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Vietnam

Rubrica Lastrico solare

Vietnam addio!
(Paolo Buzzanca)

Ce lo devono, i sopravvissuti alla catastrofe del comunismo, ce lo devono. I comunisti alla Di Liberto, alla Bertinotti, ma ncor più alla maniera di D'Alema e di Veltroni, ce lo devono. Abbiamo preso le botte dalla polizia, abbiamo fatto le manifestazioni davanti all`ambasciata americana, abbiamo propagandato gli atti del Tribunale Russel, noi che con il comunismo non avevamo niente a che fare, per affermare non tanto il diritto all'autodeterminazione dei popoli, quanto quello, del resto terribilmente attuale, che la libertà dei popoli non si determina con una guerra, ed ancor meno con una guerra sporca.

Che resta di quel Vietnam? Che resta della leggendaria figura Ho Chi Min?  Del generale Giap, che ha sconfitto i francesi ed ha resistito all`esercito americano?
Oggi un corpo estraneo governa un paese di gente instancabile forgiata al lavoro e al sacrifcio. Quello che colpisce del Vietnam è l`operosità della gente, i vietnamiti sono instancabili, nelle risaie come nelle città, con i loro poveri strumenti o con le loro attività da sottoproletariato urbano. Con il loro passo leggero avanzano con il bilanciere verso il mercato, per le strade di Hanoi, o guidano motorini TIR con a bordo di tutto, dalle canne di bambou alle lastre di vetro, come se due ruote soltanto bastassero ad affrontare il mondo.

Non c'è un palmo di terra incolta; andando verso la baia di Along pochi decimetri di terra intercorrono fra la strada e la ferrovia. Sono coltivati, piccoli orti miracolosi ravvivano un percorso assolutamente inadeguato al traffico reale, che è terriblmente disordinato, rumoroso ed inquinante.

Ad Hanoi vediamo qualche bambino che lustra le scarpe, anche se in questa parte dell'Asia i bambini sembrano particolarmente accuditi ed amati.  Le donne poi sono instanacabili, con il loro cappellino a cono ed il loro sorriso da amore a prima vista. Dall'alba offrono dolcni e frutta, e tante cose che non sappiamo nemmeno a che cosa possano servire. A tarda sera acquistiamo dei dolci immangiabili avvolti in carta di gornale da una vecchietta che forse ha realizzato l`unica vendita della giornata.

Ceniamo, pesce, ostriche, crostacei da una signora che cucina per strada, tutti lo fanno, su fuoco di carbone, da una signora che ha un biglietto da visita per il suo angolo da marciapiede. Mangiamo in maniera divina, ma lei capisce che siamo turisti appena arrivati e ci pratica prezzi da ristorante di lusso.

Un po` tutto il Vietnam è così, più vicino a Napoli di Roma o Milano. Avanza una generazione di imprenditori improvvisati, una specie di borghesia secentesca che lucra su tutto, confondendo commercio e rapina, imprenditoria ed imbroglio. E` possibile che questa diventi la classe dirigente di questa parte dell`Asia, e non sarebbe senza gravi conseguenze.

A Ninh Binh ci fa da guida una ragazza laureata, avrà venticinque anni, lavora nell'albergo in cui siamo ospiti con i ruoli più diversi: cuoca, cameriera, guida, Lavora dalle sei del mattino alle dieci di sera. Lo abbamo visto: siamo rientrati insieme alle cinque da percorso in bici. Alle nove ci serviva  la cena. Non ci ha detto quanto guadagna; per accompagnarci dalle otto alle diciassette ci ha chiesto due dollari. Bravissima, gliene abbiamo dati molti di più. Ci ha raccontato che ha lavorato un mese per 15 dollari. Le abbiamo offerto il pranzo. Ha ordinato una ciotola di riso banco. L`abbiamo costretta a fare un`ordinazione seria. Ha spazzolato tutto.

Hanoi e` un caos. Una citta` meravigliosa, vivissima, con le strade piene di gente, una dimensione umana bellissima, ma invivibile. Uno smog asfissiante, un rumore assordante dai quali non ci si può difendere. Il regime non c'è, nel senso che non è percepible. Perchè è un corpo assolutamente estraneo, che prende le sembianze, nell'indifferenza della gente, nei recinti dei monumenti alla Vittoria, o dei cimiteri militari o nell'interminabile sflza di manifesti che arredano una specie di circonvallazione che assomiglia molto ad un autoscontro.
Manifesti tuttavia meno numerosi di quelli della Pepsi, che invadono la stazione ferroviaria ed assolutamente irrisori di fronte all'unico, universale, supremo manifesto di regime: XE MAY, MOTOCICLETTE!
XE MAY in ogni villaggio! Honda, la favorita.

Al Mausoleo di Ho Chi Min una linea bianca demarca la zona accessibile dal sito vero e proprio. Se la sfiori, il fischio di una guardia ti richiama severamente, E' giorno di chiusura, ma ci dicono che qui i vietnamiti fanno la fila per venerare la salma del grande defunto, anche se ci sembra che l`unico rosso rimasto sia quello dei fiori che perimetrano l`edificio.

Andando in giro per strade impraticabili, incontriamo luridi corsi d'acqua. La gente ci si lava, ci fa il bucato, ci pesca e li usa come latrine. Niente igiene, niente servizi pubblici, niente dialettica politca.

Compagni comunisti, scusateci se vi chiediamo il conto, ma questo non è il Vietnam per il quale abbiamo lottato.


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